SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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venerdì 18 agosto 2017

Il Mani!

Martedì 15 agosto 2017 - 93° giorno di viaggio
Paralia Trinisa - Parala Trinisa (0 km)
Vento SW 15-18 nodi (F4-5) - mare mosso - 35°C
Seconda giornata di sosta.
Ieri sono passati a trovarci Maurizio e Laura, due amici lombardi che non vedevamo da tempo.
La loro presenza ha giocato al caso nostro: questo posto è un po' speciale e vale la pena passarci un'altra giornata.
In più, il vento è ancora molto forte e soffia sempre in direzione ostinata e contraria alla nostra rotta.
L'incontro col Riva mi è fatale: m'è salita la febbre a 39.5°C! E non si tratta certo di febbre d'amore!
Dopo due ore e due pasticche di paracetamolo m'è già passato tutto, ma nel frattempo ho trascorso l'ora di cena nascosta sotto due paia di pantaloni, due paia di calzettoni, due maglie e due giacche, due cappelli di pile e persino due piumoni invernali! Alle due di notte ero di nuovo fresca come una rosa! E abbiamo continuato a chiacchierare ancora a lungo, complice anche la compagnia di due simpatici ragazzi toscani che hanno parcheggiato il loro camper demodè accanto al fuoristrada del Riva e che hanno volentieri accettato il suo invito a bere birra fresca a fiumi.
Non ho mai conosciuto nessuno che abbia la passione del Riva nel parlare di kayak, moto, cani, computer e viaggi: abbiamo tirato le quattro del mattino... Il giorno dopo, cioè oggi, non siamo proprio nel pieno delle forze: l'attività fisica più impegnativa in cui ci cimentiamo è solo quella di portare il cane a passeggio sulla lunga spiaggia di sabbia di Trinisa... e di spostarci dalle sedie all'ombra della kantina alle sedie all'ombra del Riva!

Laura, Maurizio, Gustavo, Tatiana e Mauro
Campo condiviso a Paralia Trinisa...
Piccolo 'necessaire' per aggiornare il blog...  
Campo a Paralia Kalyvia...

Mercoledì 16 agosto 2017 - 94° giorno di viaggio
Paralia Trinisa - Paralia Kalyvia (24 km)
Vento NW 10-12 nodi (F3-4) - mare poco mosso - 34°C
Arriva sempre il momento dei saluti.
Stamattina di buon'ora il Riva smonta la sua magica Maggiolina e riparte e tutto gas per l'Albania (perchè era quella la vera meta del loro viaggio estivo, non certo il sud del Peloponneso!).
Noi invece ce la prendiamo comoda, come al nostro solito, e smontiamo la tendina soltanto dopo la (seconda) colazione davanti al mare!
Appena in acqua, guardiamo con trepidazione la costa rocciosa davanti a noi: tre giorni fa, quando il vento era ancora molto forte, è stata investita da una portentosa tromba d'aria che dalla vallata è scivolata dritta dritta in mare aperto, sollevando a mulinello mezzo golfo... Oggi sembra tutto molto più tranquillo, il vento è calato abbastanza per non creare altre intemperanze climatiche, ma noi abbiamo imparato a non fidarci mai dei venti catabatici: bastano due collinette ed una valle perchè riescano a creare un putiferio.
Non smettiamo di guardare la nave all'ancora in rada: da giorni è la nostra personalissima "manichetta a vento" e quasi esultiamo quando vediamo che finalmente sposta la sua prua verso nord, come a volerci dire "forza, adesso è il momento di andare!"
Pagaiamo di nuovo verso sud: dopo aver ridisceso la prima penisola dell'Argolide, bassa, frastagliata e disseminata di isole ed isolette sparse, e la seconda penisola di Monemvasia, stretta, alta e verdissima, adesso ci apprestiamo ad affrontare la terza penisola, il Mani, montuoso, brullo e ventoso.
Il Mani non ha forse bisogno di presentazioni: è il "dito" più famoso del Peloponneso, quello centrale delle tre dita più lunghe e secche (esclusa quindi quella più larga ed orientale!), quello più lungo di tutti, tanto da spingersi in mare aperto più a sud della latitudine di Tunisi. Il Mani è anche la regione più impervia, inaccessibile ed inclemente dell'intero Peloponneso, conosciuta per la sua natura aspra ed allucinatoria, per i suoi paesaggi brulli e lunari, per la sua gente fiera ed introversa. Il Mani: a lungo sognato e letto, ora finalmente raggiunto!
La porta d'accesso al Mani è la sua cittadina più grande e curata, Ghythio, dolcemente allungata tra le colline raccolte intorno ad un basso promontorio, cinto a nord e a sud da alcune delle spiagge predilette per la cova delle uova dalle tartarughe marine. Su una di queste si è spiaggiato anni addietro anche un vecchio bastimento, ora tutto arrugginito ed inclinato su un lato, divenuto presto attrazione turistica come molti altri relitti greci.
Il bel faro di Ghythio ci tiene compagnia per qualche chilometro e troneggia sul mare con una torre slanciata alta sei piani, cinque finestrelle che guardano l'orizzonte e pietre di taglio regolare come fossero tanti mattoncini Lego.
Dopo una breve pausa tra le scogliere traforate di Mavrovouni, una lunga spiaggia di sabbia ricolma di campeggi e di stabilimenti balneari, riprendiamo a navigare verso sud: ora però il cielo si è rannuvolato e la nuova coltre biancastra, che rinfresca l'aria e sembra persino acquietare il vento, rende anche il mare più scuro e cinerino, con una trama a rombi che è facile riconoscere e seguire, per sfruttare la minima forza residua delle piccole onde.
Ovunque galleggiano meduse "occhio di bue" e saltano pesci voltanti.
I monti si tingono di vari toni di grigio e fuggono lontano seguendo le gole che si aprono lungo la costa.
Alle sette di sera sbarchiamo nella nostra cala per una notte: è una spiaggetta di ciottoli piatti e policromi che si allarga a mezza luna e che è stretta meno di un kayak. Dobbiamo tirare in secca i Voyager fin sotto il muretto a secco e montare la tenda sul parcheggio sterrato: la notte è stellata e, proprio mentre stiamo cenando il gentile signore francese che occupa con la numerosa famigliola l'unica casetta in pietra sul mare, scende in spiaggia e offre a Mauro una bella birra ghiacciata!

I forti contrasti del Mani!
Campo a Porto Kaghio...
Il faro di Capo Tenaro...

Giovedì 17 agosto 2017 - 95° giorno di viaggio
Parala Kalyvia - Porto Kaghio (32 km)
Vento NW 8-10 nodi (F3) - mare quasi calmo - 33°C
La brezza entra in tenda e nella baia di buon mattino.
E' un chiaro invito a prendere il mare per approfittare della sua delicata spinta verso sud.
Lasciamo l'ampia baia di Skoutari gettando un occhio incuriositi alla sua cittadina più grande, quella che dà il nome all'intero golfo.
Si cominciano ad intravedere le case-torri tipiche del Mani. Da qui fino al capo meridionale e poi lungo tutto il versante occidentale si rincorrono a decine i paesi manioti costruiti come piccole fortezze: ce ne sono su ogni costone roccioso, ma anche nelle vallate più nascoste, a distanza di pochi chilometri gli uni dagli altri, a riprova che i manioti sono sempre stati in guerra gli uni contro gli altri. E non sono mai stati sottomessi da nessun occupante: il Mani è l'unica regione greca a non aver mai subito alcuna invasione, ma ad avere resistito nei secoli a tutti gli invasori.
Queste alte case-torri sono costruite in pietra locale, perfettamente mimetizzate coll'ambiente circostante, anche quando i quattro merli della sommità spuntano dall'alto delle creste montuose; sono a base quadrata, con piccole finestrelle disposte su più livelli, per difendersi tanto dagli attacchi dei nemici che della forte luce estiva; sono affiancate da stanze più basse, sempre quadrate, disposte in maniera all'apparenza irregolare, forse a seguire più le pendenze del terreno che non le esigenze costruttive dei proprietari. Oggi molte di queste case-torri sono state restaurate ed adibite a case-vacanze ed il turismo della regione è diventato residenziale e discreto: anche le poche strade di accesso, spesso sterrate e con un'unica carreggiata, vedono il passaggio di poche decine d'auto ogni giorno.
Leggendo il libro sul Mani scritto da Sir Patrick Leigh Fermor si intuisce bene la vita dura e semplice dei manioti e anche l'ambiente aspro ed inospitale in cui sono sempre rimasti, alcuni senza mai lasciare il paese natio; visitando i luoghi più pittoreschi della penisola si comprende meglio la straordinaria arsura che regna in questa regione e l'altrettanto straordinaria fierezza del suo popolo; solo esplorando la penisola con la dovuta calma si capisce fino in fondo perchè il Mani non è mai stato occupato e perchè i manioti sono così attaccati alle proprie tradizioni.
In kayak, poi, il Mani si apprezza in tutta la sua estensione, in tutta la sua grandezza ed in tutta la sua desolazione.
Pagaiando lungo le sue scogliere scure si può gustare sia la visione d'insieme sui paesi-fortezza delle case-torri e sia la vista di ogni singolo dettaglio, di ogni particolare anche insignificante ma che testimonia della dura vita locale nei secoli passati e nei giorni nostri: molte cittadine sono circondate da alte mura difensive su tutti i lati, come fossero veri e propri castelletti fortificati in cui si viveva una vita barricata; molte case moderne  hanno un accesso al mare ma in tutta la penisola sono poche le spiagge di sabbia o di ciottoli e per raggiungere l'acqua in molti hanno costruito dei lunghi sentieri di pietre che serpeggiano tra gli scogli appuntiti ed irregolari.
Ne vediamo molti, di questi sentieri e di questi castelli, e quando un piccolo fiordo si incunea nella costa rocciosa noi ci infiliamo in questo inusuale pertugio per vedere se si può sbarcare. Si potrebbe, in verità, sulla spiaggia di ciottoli bianchi che chiude una lunga e stretta vallata ricoperta di case-torri (e come sappiamo già dai punti che Mauro ha inserito metodicamente nel gps!), ma lo spazio è ridotto e già tutto occupato dai bagnanti della settimana centrale d'agosto. Riusciamo in mare e rientriamo nel fiordino successivo, quello più largo e pittoresco di Aghia Eghila, ai piedi di una chiesetta e di una serie di costruzioni moderne non ancora terminate ma tutte rigorosamente in pietra locale. C'è un bar e ci regaliamo un caffè espresso freddo, con tanto zucchero e con tanto ghiaccio.
Poco dopo, nel primo pomeriggio, il cielo si ricopre nuovamente di nuvole e, come già è successo ieri, il mare diventa color del mercurio.
Benchè il vento oggi non sia altro che una brezza tesa, incorriamo presto in raffiche catabatiche che caracollano giù dai monti del Mani.
Ovunque basta che ci sia una sola vallata piccola come un bacinella per creare queste folate violente e turbolente, che precipitano giù dall'alto dei monti e che investono il mare con una forza che può raggiungere quella di burrasca in pochi istanti. Oggi non sembra il caso, ma noi stiamo sempre sul chi va là, ed ogni volta che il mare si increspa ci prepariamo ad affrontare il peggio. Ma sono soltanto sbuffi di circostanza, che ci fanno giusto piegare un po' la testa e la pagaia e che ci ricordano quanto potente può essere il vento da queste parti.
Quando entriamo nell'ampia cala ridossata di Porto Kaghio tiriamo un profondo respiro di sollievo.
La cala è incassata tra alte propaggini montuose e fa bella mostra di un paio di castelletti fortificati sul versante settentrionale, oltre che di un paio di splendide spiagge di ciottoli bianchi che a quest'ora della sera sono già completamente deserte. Noi però subiamo il richiamo seduttivo delle taverne del porticciolo: ce ne sono tre che fanno capolino tra le dieci casette in pietra affacciate sul mare, un triangolo d'acqua occupata da una dozzina di barche a vela e di altrettanti gozzi di pescatori locali. C'è una strada sterrata che corre tra le casette ed il mare, cioè tra le porte e gli ombrelloni, praticamente tra i vasi di basilico e le sdraio blu, talmente stretta che il primo camper che vediamo scendere il paese dalla tortuosa strada costiera deve procedere a passo d'uomo per non sfiorare ora le tapparelle delle finestre ed ora le balze degli ombrelloni. Praticamente, l'unica strada del paese è la spiaggia stessa e noi non restiamo molto sorpresi quando l'auto rossa di un pescatore raggiunge il molo e parcheggia a pochi metri dai nostri due Voyager.
Un'altra cena in taverna e un'altra notte nel parcheggio sterrato.

Dal faro di Capo Tenaro verso nord lungo il versante occidentale del Mani!
Verso Gherolimenas...

Venerdì 18 agosto 2017 - 96° giorno di viaggio
Porto Kaghio - Gherolimenas (24 km)
Vento N 8-10 nodi (F3) - mare poco mosso - 35°C
Siamo circondati da camper: ne contiamo sette, tutti allineati in questo piccolo parcheggio sul mare.
Siamo anche circondati da italiani: mai visti così tanti connazionale in vacanza nello stesso posto. Sono toscani, romani e veneti. Con bambini al seguito, vocianti già dalla sera prima e con una incredibile capacità di recupero sin dal primo mattino.
Facciamo colazione in taverna per velocizzare le operazioni di imbarco. In men che non si dica siamo in acqua.
Appena le prue galleggiano, si avvicinano in sequenza uno dei ragazzi toscani e poi un signore veneto. Il primo ci apostrofa col suo accento aspirato: "L'ho detto subito ai miei amici, basta guardare il giubbottino ed il cappellino e si capisce che siete dei professionisti!". Il secondo invece ci chiede conferma del giro fatto fin'ora ("Ma davvero siete partiti da Igoumenitza?!) e poi ritorna dalla numerosa famigliola a riferire: una volta sdraiato all'ombra ci urla con entusiasmo "Vi sosteniamo col pensiero!" E tutti scoppiano a ridere, loro e noi.
La giornata scorre tranquilla. I primi cavalli bianchi che avevano fatto capolino nel baia di Porto Kaghio scompaiono non appena usciamo in mare aperto e contro ogni previsione ci ritroviamo a passare Capo Tenaro con calma di vento ed acqua piatta.
Capo Tenaro ci impensieriva un po', non alla stregua del suo "fratello maggiore" Capo Maleas, ma almeno per la nomea del Mani.
Capo Tenaro, conosciuto anche col nome di Capo Matapan, è il capo più meridionale del Peloponneso e della Grecia e, dopo Tarifa in Spagna, è anche il più meridionale di tutta l'Europa continentale. Mauro non è tanto d'accordo con questo elenco di primati perchè secondo lui il Peloponneso non può più essere considerato una penisola, visto che grazie allo stretto di Corinto, è ormai possibile navigarci tutt'intorno senza mai trasbordare: dovrebbe figurare piuttosto tra le grandi isole del Mediterraneo, e quindi addio punto continentale più meridionale...
A parte tutte queste digressioni geografiche, noi ci godiamo la costa che corre bassa e brulla fino a Capo Tenaro.
C'è una specie di fiordo appena prima del capo, una cala lunga e stretta che si insinua nella terra e che termina in una caletta di ciottoli bianchi. C'è un promontorio ai piedi dell'ultimo paese-fortezza con alcune case-torri restaurate da poco e forse anche un tempio dedicato a Poseidone, che però non riusciamo a scorgere da nessuna parte e che scopriamo a sera, curiosando su internet, che è stato trasformato in chiesa cristiana ai tempi dei Bizantini.
C'è poi il faro che svetta sul capo. Attira la nostra attenzione per lunghi minuti.
Capo Tenaro l'opposto di Capo Maleas: lì il capo era alto, massiccio e imponente, con le scogliere a strapiombo sul mare profondo e la vegetazione lussureggiante a ricoprire ogni cosa; qui invece il capo è basso, spoglio e bruciato dal sole e dal vento, le colline scendono morbide verso il mare e si abbassano sempre più come a voler scomparire nell'acqua turchese. Il faro di Capo Maleas era alto, slanciato ed imponente. Il faro di Capo Tenaro è basso come la costa, basso forse la metà dell'altro: solo che il faro di Capo Maleas l'abbiamo appena intravisto tra le onde e questo di Capo Tenaro, invece, ce lo godiamo in tutto il suo splendore in una giornata di bonaccia.
Risaliamo finalmente verso nord e dopo una breve pausa nella caletta di Marmari, una delle pochissime spiagge di sabbia dell'intera penisola del Mani, riprendiamo la navigazione verso la nostra meta serale.
Vogliamo fare tappa al paesino costiero di Gherolimenas per due diversi motivi: è uno dei paesini-fortezza che vanta alcune belle case-torri restaurate proprio sulle basse scogliere rocciose a due passi dal mare ed è stata una delle soste che il nostro amico Manolis ha scelto di fare durante il suo periplo invernale del Peloponneso lo scorso mese di gennaio. A quell'epoca, l'unica taverna aperta era quella di Mr. Spiros, quella chiamata Akrotenaritis che, una volta raggiunta, scopriamo essere stata anche il luogo in cui ha soggiornato Sir. Former ed in cui ha scritto il suo libro sul Mani.
I nostri due piccoli panfili riposano sotto il sole cocente del primo pomeriggio sulla spiaggia di ciottoli bianchi, incastrati tra due caicchi colorati tirati in secca a pochi metri dalla battigia. Non sappiamo ancora dove monteremo la tenda: domattina però il sole ci sveglierà prima del solito!

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