SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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martedì 22 agosto 2017

Il bello dei programmi di viaggio è che si possono sempre cambiare...

Sabato 19 agosto 2017 - 97° giorno di viaggio
Gherolimenas - Mezapos (18 km)
Vento N-NW 5-8 nodi (F2-3) - mare calmo - 33°C
Gherolimenas è un piccolo ed accogliente borgo marinaro.
Le casette sul mare sono tutte in pietra, anche se soltanto una, l'unica diroccata, è un'originaria casa-torre del Mani.
Alle spalle del paese, sul versante settentrionale della piccola baia, si erge il massiccio di Capo Grosso ed una scalinata intagliata nella roccia e dipinta di bianco sale lungo la parete rocciosa che a tratti svetta sul mare con un'inclinazione perfettamente verticale. La notte è tutto illuminato, i ristorantini sulla passeggiata ed i gradini sulla montagna.
Al mattino il sole arriva prima del solito perchè la spiaggia di ciottoli bianchi è aperta sul mare e non ci sono alberi che possano ritardare il nostro risveglio. Che comunque, come da migliore tradizione, è sempre molto lento. Oggi anche perchè vogliamo attendere che il vento, secondo le previsioni molto più forte di quanto noi non riusciamo ad intuire da questo angolino chiuso e ridossato, si attenui quanto basta per farci prendere il mare con tranquillità.
Capo Grosso è un'altro dei punti critici del Peloponneso.
E' un massiccio roccioso di notevoli dimensioni, un promontorio alto e disabitato che non offre possibilità di sbarco per oltre 16 chilometri, con un inconfondibile profilo che Mauro definisce da pecora addormentata, anche se ieri da lontano ci era sembrato più una marmotta.
La brezza leggera increspa di poco il mare blu che circonda il capo, ma sulle punte più esposte le raffiche diventano subito forti ed imprevedibili. Anche oggi dobbiamo fare i conti con i venti catabatici, benchè la giornata si preannunci calma e senza vento. Capo Grosso ci impone sin dalle prime pagaiate di procedere uno dietro l'altro, allineati secondo la tecnica di caccia Inuit, il popolo groenlandese che ha "inventato" il kayak da mare oltre 4000 anni fa: procediamo per un buon tratto con la prua del secondo kayak che sfiora la poppa del primo, neanche dovessimo affrontare il Piterak artico, il più famoso al mondo tra i venti catabatici.
Sotto le pareti rocciose di Capo Grosso capiamo la maestosa possanza di questo promontorio che sembra non finire mai. Chiamato nel passato "Lo specchio" per il gran numero di grotte e cavità naturali, Capo Grosso è sempre stato temuto dai marinai e dai pescatori nel corso dei secoli ed ancora oggi incute un rispetto reverenziale ai naviganti che affrontano le sue scogliere strapiombanti. Manolis, il nostro amico greco che ha completato il periplo del Peloponneso in inverno lo scorso mese di gennaio, ci ha raccontato più volte del senso di assoluta fragilità ed impotenza che lo ha investito quando si è ritrovato da solo a pagaiare lungo le monumentali pareti del capo. Il portolano definisce Capo Grosso un "enorme masso roccioso dal profilo inconfondibile le cui pareti precipitano in mare da un'altezza di oltre 250 metri, spezzate da gole e costellate da grotte", molte delle quali hanno l'ingresso murato e si sono per questo conquistate la fama di custodire le ricchezze dei pirati. Bisognerebbe essere provetti scalatori per arrivare a visitarle e quella che si apre sul capo è talmente grande e visibile, sia da terra che dal mare, che nel tempo ha conteso alla grotta di Capo Tenaro la nomea di essere l'ingresso dell'Ade. In alcuni tratti ci sono talmente tanti fichi d'india abbarbicati alla roccia che ci viene spontaneo domandarci come abbiamo mai fatto ad attecchire in quella posizione verticale, tra sbalzi levigati dal vento e del tutto inaccessibili all'uomo e agli animali. Vediamo solo qualche coppia di rapaci in volo, ed un topolino di campagna che galleggia privo di vita sul pelo dell'acqua, sfuggito forse ai loro artigli...
Ci devono essere delle correnti particolari intorno a Capo Grosso: per il primo tratto, quello meridionale, procediamo a 4.3 chilometri orari, ed in alcuni punti arranchiamo anche a 3.2; poi però, passata la punta più esterna, prendiamo una velocità inaspettata di 7 chilometri orari.
La costa corre sempre molto alta e noi proseguiamo con una buona andatura per tre ore tonde tonde, fino a quella che all'inizio pensavamo fosse solo una tappa intermedia. E che presto si trasforma invece nella conclusione della nostra giornata di navigazione.
Appena sbarchiamo sull'ennesima spiaggia di ciottoli bianchi del Mani, ai piedi del piccolo villaggio di Mezapos, una manciata di casette cresciute in maniera disordinata attorno al ridossato porticciolo centrale, veniamo avvicinati da una bella ragazza dai capelli lunghi e dagli occhi verdi che ci chiede se non abbiamo bisogno di qualcosa dalla barca a vela. Lavinia e Peter hanno saputo del nostro viaggio in kayak dai signori veneti incontrati a Porto Kaghio, quelli che ci hanno promesso di sostenerci col pensiero. Quando ci hanno visto arrivare non ci hanno pensato due volte: sono scesi dalla barca, lei a nuoto e lui col tender, e si sono messi a farci un'infinità di domande. E siccome le nostre risposte non sono mai sintetiche, perchè parlare di kayak è, dopo l'andare in kayak, una delle nostre attività predilette, abbiamo bruciato il momento giusto per riprendere il mare e per raggiungere la meta successiva. Poco male: il bello dei programmi di viaggio è che si possono sempre cambiare!
Questo lungo tratto di costa occidentale del Mani è caratterizzato, oltre che dalla notoria natura selvaggia e dalla sequenza di paesi-fortezza, anche da una scarsa presenza di spiagge (l'unica di sabbia è quella di Marmari, sul versante nord-ovest di Capo Tenaro) e soprattutto da una limitata possibilità di sbarchi per chi come noi viaggia in kayak. La possibile tappa successiva dista altri 17 chilometri: non c'è niente prima. Niente tra Mezapos e gli approdi della baia di Dhyros. Siccome sono passate le sei del pomeriggio, decidiamo di non ripartire e di continuare a chiacchierare.
Ci spostiamo però dalla spiaggia assolata all'unica taverna del posto, un piccolo locale ricavato nella terrazza panoramica di una delle casette del paese, proprio sopra l'unica chiesetta ortodossa affacciata su quell'unico porticciolo, dove stasera festeggiano il compleanno di un bimbo con palloncini colorati lanciati in acqua tra i gozzi all'ancora e festoni tipo gran-pavese tirati tra i pali della luce.
Salutiamo e ringraziamo le due famiglie bresciane che, non appena sbarchiamo nella caletta affianco, più aperta ed adatta a montare il campo, ci offrono due bottiglie d'acqua fresca e che con domande mirate e molto attinenti sembrano voler introdurre i quattro pargoli curiosi e silenziosi alle meraviglie del campeggio nautico in kayak da mare. Ritroviamo presto Lavinia e Peter e dopo aver ammirato un tramonto di fuoco appena oltre il capo che si allunga in mare e che protegge l'intera baia di Mezapos ci prepariamo alla cena. Il paese ha la nomea di essere stato un villaggio di pirati e l'aspetto che ancora oggi conserva a metà strada tra il trasandato ed il defilato lo lascia credere molto facilmente. Il portolano dice anche che Tim Severin, durante il suo viaggio sulle rotte di Ulisse, lo avrebbe identificato, in concorrenza con il paese di Bonifacio in Corsica, col porto dei Lestrigoni, i famosi giganti cannibali che gettarono dall'alto dei massi per affondare le navi, tutte tranne quella di Ulisse.
Affascinati da cotante storie passate, noi ci perdiamo subito a parlare di storie presenti, delle avventure di Peter nei cinque continenti, dell'attaccamento di Lavinia alla sua amata Lecce, delle nostre pagaiate nel Mediterraneo, di kayak, di vela, di viaggi... e forse troviamo, grazie ad un ingegnoso suggerimento di Peter, il modo di navigare in sicurezza ed in tranquillità tra le Isole greche del Dodecanneso e la costa turca durante la prossima estate!

Le primi propaggini di Capo Grosso
Peter sulla barca a vela con cui viaggia insieme a Lavinia...
Lo sbarco sulla seconda caletta di Mezapos...
Il campo sotto il paese di Mezapos...
Le coste piene di grotte e cavità...
L'ingresso alla Grotta di Vlikada nella Baia di Dhyros...

Domenica 20 agosto 2017 - 98° giorno di viaggio
Mezapos - Karavostasi (24 km)
Vento W-SW 5-6 nodi (F2) - mare calmo - 32°C
Quando ci svegliamo la vela di Peter e Lavinia non è più in rada.
Speriamo di ritrovarli più avanti, o chissà quando: è stato un incontro insperato e piacevole che ha riempito e allietato un'intera giornata.
L'insalata greca e lo tzatziki di ieri sera, però, accompagnati da una doppia razione di tsipouro, ci hanno lasciato addosso una gran fame: prima di partire, stamattina ci regaliamo una doppia colazione in spiaggia, prima con la frutta fresca dell'ultima spesa in paese, pesche noci e fichi di stagione, e poi col solito pane inzuppato nel caffè-latte arricchito di frutta secca e miele greco. Ci stiamo ancora leccando i baffi quando la prima brezza del mattino ci ricorda che forse oggi dovremo pagaiare contro vento. Ma è soltanto un avviso, poi tutto si smorza e noi navighiamo per il terzo giorno consecutivo in un mare così piatto che quasi ci annoia.
Superiamo tre promontori alti e grossi, che diventano sempre più bassi man mano che risaliamo verso nord, tutti ugualmente disabitati e brulli.
La vegetazione è ancora scarsa, solo qualche rada pianta di fichi d'india, di capperi e di finocchio marino che si affaccia dalle pareti rocciose a strapiombo sul mare. Il resto è ricoperto di arbusti rossastri bruciati dal sole e dal vento.
Oggi facciamo una lunga sosta nella baia di Dhyros: vogliamo visitare la famosa grotta di Vlikada.
E' una vera meraviglia della natura, piena di così tante stalattiti e stalagmiti da lasciare a bocca aperta.
Solo che si tratta di una grotta marina, che procede per la quasi totalità della sua lunghissima estensione (oltre 14.000 metri!) sotto il livello del mare. Quindi si può visitare solo a bordo di un barchino di legno ad otto posti governato da un barcaiolo che siede a poppa e che fa avanzare la barca usando una sorta di remo. Normale, direte voi: tutte le barche procedono a remi. Esatto. Solo che siccome le gallerie della grotta sono piccole e basse e strette, larghe poco più della barchetta carica di visitatori, il timoniere usa il remo... sulle pareti della grotta! Ed in alcuni casi, quando la volta si innalza al punto da non offrirgli altri appigli, anche lasciando il remo in barca, mettendosi in piedi ed attaccandosi direttamente alle stalattiti! Che sono diventate tutte nere, ovviamente. In alcuni punti sono anche state tagliate di netto, per permettere alle barche di continuare la loro corsa nelle cavità della terra. Una corsa che a volte m'è sembrata troppo veloce, un po' precipitosa: io avrei voluto fermarmi qualche momento in più per osservare quelle straordinarie formazioni calcaree, per guardare le gocce scendere lungo le colonnine illuminate, per ammirare gli angoli più nascosti e le innumerevoli deviazioni possibili... anche quando le virate diventano un po' troppo brusche ed in un paio di occasioni arriviamo persino a sfregare sia con lo scafo che coi giubbottini sui passaggi sempre più angusti della grotta... la barca procede ondeggiando ad ogni spinta del timoniere e noi abbiamo la sensazione di poterci ribaltare da un momento all'altro!
Ad un certo punto, ad un'inclinazione più accentuata delle altre, Mauro sbotta: "Odio le barche a fondo piatto"!
Il barcaiolo prosegue la sua gimcana veloce lungo il percorso turistico, annunciando e subito lasciando il lago delle fate, il grande oceano, l'antro del dragone, la camera rossa, gli appartamenti bianchi e rosa, la cattedrale... in 25 minuti arriviamo alla banchina di sbarco, scendiamo, consegniamo i giubbottini al barcaiolo, che se ne va per la sua strada d'acqua, e dopo i primi 1.200 metri lacustri visitiamo gli ultimi 300 metri pedonali: adesso che siamo rimasti finalmente da soli, posso soffermarmi quanto voglio a curiosare tra stalattiti e stalagmiti, a leggere le (poche) informazioni del dépliant turistico e a chiedermi dove siano ora conservati i fossili di ossa di pantera, iena, leone, cervo e martora ritrovati nella grotta, che oltre agli altri suoi primati vanta anche quello del più grande giacimento di ossa di ippopotami in Europa (giuro: ippopotami!).
Mauro avrebbe gradito una visita più breve, quindi mi affretto a raggiungerlo all'uscita. Fuori si muore dal caldo, dentro si moriva dal freddo: la temperatura dell'acqua in grotta è di appena 14°C, mentre quella dell'aria si aggira sui piacevoli 16-19°C. La visita dura un'oretta, di cui 25 minuti in barchetta, ma noi ci abbiamo messo poco più di tre ore: un'ora preliminare per rifocillarci a dovere prima di affrontare la scalata alla collina sulla cima della quale hanno posizionato l'unica biglietteria (senza tenere in minima considerazione i visitatori che arrivano dal mare: ma forse noi siamo stati gli unici!), un'ora regolamentare in grotta ed un'altra ora per riprenderci dall'esperienza del barchino dal fondo piatto!
Ci servono un gelato e un caffè frappè per poter proseguire in mare.
Lasciamo l'ampia baia di Dhyros sapendo bene che le tappe successive sono forzate.
Anche oggi non ci sono molti punti di possibile sbarco, quindi decidiamo di entrare nel golfo successivo e di cercare il nostro campo per una notte. Sbarchiamo dopo molti tentennamenti: qui c'è la strada asfaltata e chissà che rumore, là c'è un muretto a secco troppo vicino al mare e i kayak forse non ci stanno, qua c'è un vecchio casolare abbandonato e magari c'è uno spiazzo accanto, lì che la spiaggia si allarga ci sono troppi massi sulla riva... Ecco, trovato: davanti alle canne, così domattina siamo in ombra!
Appena sbarcati si avvicina una mamma con un bimbo e ci dice di avere fatto kayak in passato e di apprezzare molto le nostre pagaie groenlandesi. Poi arriva anche il gentile signore francese che qualche giorno fa aveva offerto a Mauro una birra fresca per cena.
Poi cala il tramonto e restiamo soli sotto le stelle! E sotto l'unico lampione acceso del lungo mare!

Turisti per caso!
Le foto sono quasi tutte mosse, peccato: non abbiamo voluto usare il flash!
Le stalattiti (mosse!) della Grotta di Dhyros...
Sono state trovate stalattiti alla profondità di 71 metri sotto il livello del mare...
Sulla barchetta si rischia sempre di sfregare contro le pareti della grotta...
L'ultimo tratto a piedi...

Lunedì 21 agosto 2017 - 99° giorno di viaggio
Karavostasi - Stupa (25 km)
Vento W 8-10 nodi (F3) - mare poco mosso - 30°C
Dormiamo dodici ore filate, protetti dalle canne e dalle nuvole.
Oggi il cielo è coperto e la mattina, e poi anche l'intera giornata, è carica di umidità.
Il risveglio è lento, oggi anche più del solito perchè Mauro mi nega un salto al bar per la mia droga mattutina, il caffè frappè.
Resisto poco: dopo i primi 3 chilometri contro vento per uscire dall'ampio golfo di Karavostasi e dopo altri 10 chilometri lungo una costa alta, rocciosa ed inaccessibile, ripariamo nel porticciolo del bel paesino di Trachila per una pranzo in taverna. La doppia razione di zuppa di fagioli e di tzipouro mi fa navigare per il resto del pomeriggio in uno stato di grazie tale che arrivo a creare un poema epico sui pagaiatori di ogni epoca che sarà dato presto alle stampe coll'evocativo titolo di "Quelli che in kayak"...
Il Mani è finito: oggi varchiamo il confine ideale con la regione della Laconia. La costa però non cambia: è sempre orlata da scogliere basse a carciofo, di quel tipo appuntito e forato che non ci puoi avvicinare neanche la pagaia, è sempre chiusa da pareti strapiombanti di altezze notevoli, di quel tipo verticale ed inospitale che non ci puoi costruire neanche una chiesetta, ed è sempre sovrastata da montagne puntute e brulle, di quel tipo che il vento ha reso bruciate e pelate al punto che non si intravede neanche un alberello solitario.
Anche oggi dobbiamo programmare la tappa giornaliera tenendo conto dei pochissimi punti di sbarco.
Ne incontriamo uno soltanto, che però Mauro non aveva trovato sulle mappe satellitari, forse perchè lo scivolo ricavato tra gli scogli è molto recente. Guardiamo interessati quel piccolo porticciolo naturale dal nome altisonante di Porto Ghatea perchè abbiamo già risalito 8 chilometri ed il mio stomaco lamenta vuoti insaziabili, ma lo scalino ricoperto di alghe che si intravede anche dal largo non ci convince al punto da tentare uno sbarco. In più, tra lo scivolo e gli scogli, galleggiano troppi bambini vocianti e dopo la quinta volta che ci chiedono urlando "Where are you from?" pensiamo sia il caso di proseguire oltre.
Il paesino di Trachila è un piccolo gioiello, uno degli ultimi (o dei primi, a seconda del giro di visita) della penisola del Mani. Ha tutta una coroncina di casette di pietra a due piani, una piccola torre difensiva nel mezzo ed uno scivolo recente che rende possibile l'accesso al minuscolo porticciolo. Quasi non si capisce dove sia l'ingresso, così chiuso e protetto da una massicciata di scogli naturali spostati poco più in là del loro posto originario. C'è un piccolo scivolo di alaggio perfetto per sbarcare coi nostri due panfili, che trovano posto accanto a quattro grandi pentoloni lasciati in ammollo sul moletto di cemento, forse per pulire le incrostazioni più resistenti dopo una, pensiamo ben riuscita, festa di paese.
L'unica taverna è affacciata sul mare: dai bastioni rocciosi che sovrastano la baietta raccolta e ridossata si gode una visuale interessante.
Mangiamo da leccarci i baffi!
Ripartire non è facile, soprattutto perchè la nuvolaglia spessa e la foschia densa rendono mare e cielo di un uniforme grigio spento e non invitano certo alla navigazione. Però lo tsipouro fa il suo effetto ed io ricopro Mauro di chiacchiere fino allo sbarco serale.
Qualcosa cambia nella conformazione della costa, riesco a rendermene conto anch'io nonostante l'elevato grado etilico: la costa si abbassa e si ricopre delle prime piante, qualche cipresso e qualche pino, le montagne sono sempre molto alte ma più interne e meno incombenti.
C'è una chiesa che sembra una cattedrale, una vecchia taverna abbandonata ed una passeggiata sul lungo mare molto romantica.
Quando il sole tramonta dietro l'altra penisola, per noi la quarta del Peloponneso, la nostra prossima meta, il cielo si tinge di un rosa pesca prima e di un rosso amaranto dopo, tonalità così intense da lasciare tutti gli avventori della "nostra" taverna a bocca aperta, meglio ad obiettivo aperto, tanti sono gli scatti fotografici che riempiono la serata. Le lucine giallognole pian piano illuminano il vicoletto affacciato sul mare.
Mangiamo in taverna. E' vero. Sia a pranzo che a cena. Per ben due volte in una stessa giornata. Ma io continuo ad avere una fame tale che mangerei pure le gambe del tavolo!
Stanotte dormiremo tranquilli, anzi con tutta quest'ombra attorno, rischiamo di svegliarci a mezzogiorno!

Tra Dhyros e Karvostasi...
Il risveglio a Karavostasi...
Le ultime propaggini del Mani...
Il porticciolo di Trachila!
Ancora scogliere e montagne...
Ubriaca tra le ondine...
I nostri pini "soporiferi"!
Sosta culinaria a Stupa!

Martedì 22 agosto 2017 - 100° giorno di viaggio
Stupa - Stupa (0 km)
Vento W 8-10 nodi (F3) - mare quasi calmo - 30°C
Mezzogiorno no, però le dieci e mezza si!
I pini marittimi spandono odore di resina, che dev'essere forse soporifera.
Facciamo una prima colazione accanto ai kayak e poi programmiamo di andare a fare spesa in paese.
Stupa è una piccola cittadina balneare famosa per la sua spiaggia a mezza luna di una sabbia fine e dorata che attira bagnanti su tre file di ombrelloni e lettini. Le casette basse ed in pietra sono raccolte intorno ad un piccolo porticciolo naturale e le ultime taverne si affacciano sugli scogli traforati del capo, quelli tra i quali abbiamo trovato ieri un passaggio tutt'altro che lineare ed accanto ai quali oggi giacciono i nostri due piccoli panfili, al fondo di una caletta ridossata dove non entra neanche un'onda, all'ombra di una siepe di oleandri in fiore che sembra essere disdegnata da tutti gli altri vacanzieri. In paese c'è grande animazione, bar all'aperto, ristoranti sul mare, un centro di noleggio sit-on-top e pedalò, negozi di artigianato locale, e persino un laboratorio settimanale (che si tiene tutti i venerdì) di lavoretti coi "prodotti del mare": mi fermo ammirata a leggere il cartello almeno una decina di volte, pensando che sarebbe questo il lavoro ideale della mia vita, giocare coi legnetti e le conchigliette per realizzare "cose creative" e dare così sfogo alla mia vena latente di follia... Mauro mi scuote dai miei sogni ad occhi aperti e mi riporta sui miei passi: torniamo ai kayak per riporre la spesa nei gavoni, sperando che il puzzle tridimensionale riesca anche stavolta.
Pensiamo di ripartire non appena fatto il pieno di soldini e di droghe liquide: ci sediamo alla "nostra" taverna a bere un doppio caffè frappè e ci ritroviamo a modificare per l'ennesima volta il programma di viaggio. Invece di andare, oggi possiamo restare.
Un bel modo per festeggiare i nostri primi 100 giorni in mare: stando fermi a terra!
Qui a Stupa c'è tutto quello di cui abbiamo bisogno: ombra, cibo, tramonto sul mare e... pure il wi-fi per aggiornare il blog.
E questo vento leggero, che increspa appena il mare e che avrebbe reso anche oggi la navigazione tutt'altro che adrenalinica e spumeggiante, ci convince presto che abbiamo fatto la scelta giusta: secondo le previsioni meteorologiche, nei prossimi giorni il vento che interesserà il grande Golfo di Mesinia, dove ora ci troviamo, sembra voler seguire passo passo il nostro programma di viaggio, prima accompagnandoci verso nord e poi spingendoci verso sud quando sarà il momento di virare le prue di quasi 180 gradi. Insomma, cambiare idea in queste condizioni di bonaccia non è poi così difficile, e non dobbiamo neanche più pianificare le tappe con attenzione perchè i punti di sbarco adesso sono molto più numerosi e comodi...
Trascorriamo l'intero pomeriggio in completo relax, perfettamente a nostro agio tra il computer e le chiacchiere fitte tra noi!

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