SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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venerdì 30 giugno 2017

Peloponneso a noi!

Martedì 27 giugno 2017 - 52° giorno di viaggio
Akrotiri Tripiti - Paralia Lechena (20 km)
Vento NW 10-12 nodi (F4) - mare poco mosso - 26°C
Siamo impazienti di iniziare il periplo del Peloponneso.
E' una regione per noi sconosciuta e ne sappiamo qualcosa solo per sentito dire, da chi prima di noi l'ha circumnavigata in kayak.
Dopo chi ha impiegato appena 19 giorni o 3 settimane, oppure un mese in inverno in solitaria, noi ci siamo riproposti di battere ogni record e di metterci più di due mesi. Siamo gli unici ad usare la pagaia groenlandese, e già questa potrebbe essere una menzione particolare, ma soprattutto siamo i più vecchi, e quindi gioco forza anche i più lenti... E sopra ogni altra cosa siamo intenzionati a fermarci in quante più taverne possibili!
Cominciamo questo nuovo viaggio nel viaggio con una sveglia lenta delle nostre, solo quando comincia a fare troppo caldo per poter continuare a poltrire in tenda. Una volta fuori, continuiamo a prendercela comoda perchè sembra di essere entrati in un'altra dimensione: una nebbia fitta ed avvolgente nasconde ogni cosa, l'isola di Zante ormai lontana ma anche il paesino vicino che è davvero a due passi da noi. E' la prima volta che ci capita di svegliarci avvolti dalla nebbia e se non sapessimo che è un fenomeno naturale ed innocuo ci sarebbe quasi da avere timore di tutto questo biancore spesso ed opprimente che fa scomparire il mare, la battigia e anche la sabbia. Poco più in là della nostra tenda non c'è più niente di quel che ieri sera eravamo sicuri di avere visto, nè le rocce che chiudono la baia, nè i gigli che ricoprono la duna, nè gli ombrelloni che punteggiano la spiaggia, ora non c'è altro che nebbia impenetrabile che tutto cancella ed annulla.
In mezzo a questo mattino ovattato, silenzioso e vuoto, il caldo diventa subito asfissiante e quasi non possiamo muoverci per evitare l'essiccazione da eccessiva sudorazione. Stiamo boccheggiando da troppo tempo quando finalmente si alza un leggero venticello refrigerante che pian piano pulisce ogni cosa nel cielo e sulla terra. Possiamo riprendere a vivere e a navigare.
Il mondo è tornato a splendere e l'acqua è di un colore brillante che ricorda quello delle piscine artificiali, quelle rivestite di un mosaico di mattonelle dei colori del mare, solo che qui, lungo la costa nord-occidentale del Peloponneso, il mare non ha confini e le dimensioni di questa vasca cristallina e trasparente sono pressochè infinite. Io sono ammaliata da queste tonalità intense ed insolite, vorrei restare qui a pagaiare avanti e indietro per tutto il giorno, guardando solo verso il fondo dove si distinguono i ripples della sabbia anche a profondità che si intuiscono notevoli, visto che la pagaia non arriva a sfiorare neanche una di quelle regolari e continue collinette sottomarine. Mauro invece sin da subito non ne può più, perchè sostiene che è avvilente avere lasciato l'acqua cristallina di Zante per ritrovarsi in quest'acqua verde-stagno. Per giunta piena di meduse. Ce ne sono ovunque, ogni mezza pagaiata se ne contano due o tre, tutte con il loro gonnellino corto violaceo, i tentacoli lunghi e corposi e le grandi cappelle trasparente così morbide e gelatinose che toccarle è un piacere raro. Le meduse di questa specie, le Rhizostoma pulmo, non sono urticanti e solo la parte terminale dell'ampia cappella può provocare qualche leggera irritazione cutanea. Sono per me tra le meduse più belle ed affascinanti, così semplici nella loro delicata trasparenza e così fragili nella loro molle inconsistenza. In queste immense piscine naturali ce ne sono a centinaia, di ogni dimensione. Deve essere proprio il paradiso delle tartarughe marine, che di meduse sono ghiotte.
Sulle spiagge di sabbia fine si distinguono altri nidi di tartaruga e ad un tratto le dune diventano alte e belle, anche se soffocate da troppi alberghi di lusso che seminano all'intorno varie casette e casupole come tentacoli di una piovra vorace ed avida. Ci rintaniamo per una breve sosta all'ombra di una spiaggetta anonima, sgranocchiamo due barrette di sesamo al miele e recuperiamo un po' di energie.
Dopo qualche altra lenta pagaiata siamo in prossimità dell'isolotto di Kavkalidha, che con la sua slanciata torre-faro, una bella struttura a base quadrata in mattoni scuri con greche laterali di marmo bianco, preannuncia il porto di Killini, protetto da un ammasso indistinto di strani frangiflutti forati che fanno risuonare il mare come nelle canne di un organo enorme. Superiamo l'ampio ingresso del porto che collega il Peloponneso con le isole di Zante e di Cefalonia, passiamo anche quattro grandi boe d'ormeggio poste poco più al largo ed evitiamo una serie di scogli affioranti in cui perdo una delle mie amate lenze da pesca, ritirata con troppo ritardo e rimasta incagliata chissà dove tra quelle rocce semi-sommerse.
Ci mettiamo in cerca del nostro campo per la notte e lo troviamo sotto le tamerici di una spiaggia dalla sabbia un po' argillosa, davanti ad una serie di villette con piscina ancora chiuse ma popolate di corpulenti ragni gialli a righe nere, che hanno tessuto centinaia di tele tra bei fiori gialli e rossi.
Ceniamo in tenda, da soli, dopo chissà quanti giorni in taverna!

Il campo ad Akrotiri Tripiti quando la nebbia s'è diradata...
Il bel faro dell'isolotto di Kavkadilha
La costa nord-occidentale del Peloponneso
I frangiflutti del porto di Killini 
Il campo sulla spiaggia di Lechena

Mercoledì 28 giugno 2017 - 53° giorno di viaggio
Paralia Lechena - Akrotiri Kounoupeli (26 km)
Vento NW 10-12 nodi (F4) - mare poco mosso - 29°C
L'ombra delle tamerici ci fa dormire un po' di più, ma non ancora per quanto vorremmo.
Di solito siamo molto lenti, specie in mattine così nebbiose come quella odierna, anche se questa leggera foschia che si appoggia sul mare non è niente in confronto alla nebbia fitta che ieri ha fatto scomparire il mondo attorno a noi. Diventiamo ancora più lenti quando c'è un po' d'ombra che ci fa fare colazione davanti al mare e ci fa iniziare la giornata senza alcuna fretta: la lentezza è la vera costante ed il vero spirito di questo nostro viaggio intorno al Peloponneso.
Siamo così rilassati e tranquilli che osserviamo per delle lunghe mezz'ore il via vai di traghetti che entrano ed escono dal porto di Killini: ci sono tre diverse compagnia, la gialla, la rossa e la blu, che partono in maniera alternata per l'isola di Zante nascosta dietro il promontorio e per la più visibile isola di Cefalonia, le cui montagne fanno capolino sul mare ancora velato.
Risaliamo verso nord lungo una costa bassa ed anonima, caratterizzata da una spiaggia corta e sporca che nessun si prende la responsabilità di pulire dalle plastiche rigettate dal mare, punteggiata di poche case sparse che sembrano abbandonate, di un porto nuovo e grande che ospita tanti pescherecci quante sono le casupole irregolari cresciute all'intorno e poi anche di un lago costiero che sembra non terminare mai.
Finalmente la costa migliora il suo aspetto e offre alla nostra vista dieci chilometri di dune sormontate da pini comuni che è un piacere osservare pagaiando a pochi metri dalla riva sabbiosa. In mare tornano le meduse e l'acqua risplende di nuovo di un colore verde smeraldo in cui navighiamo come in un sogno. Superiamo in un baleno un piccolo promontorio roccioso sormontato da una chiesetta e dalle rovine di un castello e ci troviamo proiettati in un luogo senza tempo: c'è un piccolo porto naturale in cui hanno gettato l'ancora una decina di pescherecci, c'è una vecchia serie di case di ringhiera che forse erano le casette dei pescatori e c'è poi una serie di tende nascoste sotto la boscaglia ed organizzate come piccole villette per le vacanze, con tanto di docce calde e cucinotto esterno.
Sembra il posto ideale per montare il nostro campo: scegliamo una "piazzola" tra i pini ed in pochi minuti siamo pronti per cenare e dormire.

Il campo nella pineta di Akrotiri Kounoupeli
Il lilliputh-faro di Akrotiri Araxos
Nel golfo di Patrasso
Il campo accanto alla kantina di Akrotiri Mavri Myti
Le stratificazioni di Akrotiri Mavri Myti

Giovedì 29 giugno 2017 - 54° giorno di viaggio
Akrotiri Kounoupeli - Akrotiri Mavri Myti (23 km)
Vento NW 5-6 nodi (F2) - mare quasi calmo - 28°C
Finalmente dormiamo al fresco per oltre dieci ore filate.
L'ombra dei pini è ampia e durevole fino al mattino inoltrato e noi possiamo prendercela ancora più comoda di ieri.
Il vicino di tenda è già al terzo bagno rinfrescante quando si accorge che noi ci stiamo preparando a partire: senza troppi convenevoli si avvicina e ci offre una bottiglia di acqua fresca, che noi accettiamo di buon grado e scoliamo ancora prima di imbarcarci. "Tra abusivi ci si intende", bofonchia Mauro quando siamo pronti a partire, tra grandi saluti col vicino in ammollo e altri vicini che si accodano al suo Kalo taxidi - Buon viaggio in greco.
I primi tre chilometri di costa sono spettacolari, con la sabbia chiara incoronata da una duna imponente ricoperta di una vegetazione lussureggiante: fosse per me sbarcherei dopo appena 600 metri, sotto quel pino maestoso che spicca sugli altri coi suoi rami frondosi e la sua ombra larga.
Invece proseguiamo, ovviamente, e raggiungiamo l'altissima duna che separa la spiaggia di sabbia rossa da un lago salato costiero lungo il quale hanno costruito una serie di villette basse che per fortuna si nascondono tra la macchia. Con poche altre pagaiate superiamo le due spiagge incastonate sul promontorio roccioso, la più meridionale raggiungibile solo dal mare e per questo vissuta da un solo unico e solitario bagnante, la più settentrionale invece occupata da decine di auto colorate che hanno posteggiato a pochi metri dagli ombrelloni di paglia.
Avvistiamo il faro di Akrotiri Araxos, il punto nord-occidentale del Peloponneso, e volendocela prendere comoda, pensiamo di poter trovare un campo adatto tra la macchia bassa e compatta per poter approfittare ancora della solitudine di questo tratto di costa e del tramonto sull'isola di Cefalonia. Invece, la lunga lingua di sabbia che circonda un altro lago costiero è troppo bassa per proteggerci dal vento, che per quanto leggero e gentile si fa sentire fino a tarda sera. Scegliamo allora di superare il lilliputh-faro installato su uno dei soliti tralicci di ferro dipinti di bianco e restiamo un po' stupiti dal contorno delle costa riportato nei nostri due gps, completamente differente dalla realtà, tanto che in alcuni punti per il navigatore stiamo pagaiando sulla terraferma, mentre noi siamo ben al largo del basso fondale che circonda tutto il capo. Con molta probabilità, questa costa ha un profilo variabile e condizionato dalle correnti che interessano lo stretto che chiude ad ovest il golfo di Patrasso e la spiaggia prende di volta in volta una conformazione differente.
Proseguiamo oltre la costa incoronata da una serie di pennoni che sembrano quelli di una stazione meteorologica e anche oltre il promontorio sormontato da due ripetitori per le telecomunicazioni: non ci sono spiagge abbastanza profonde da accogliere i nostri due kayak nè alberelli sotto cui montare la nostra tenda. Durante questa ricerca, riflettiamo sul fatto che le nostre esigenze sono cambiate sensibilmente nel corso di questo viaggio: all'inizio, quando era ancora la fine di maggio, cercavamo una posizione esposta al sole, così da poter subito ricevere i suoi primi caldi raggi sin dal mattino, adesso invece che il caldo comincia a mordere cerchiamo una sistemazione il più possibile ombreggiata, così da riuscire a sopportare le prime ore del giorno a temperature ancora ragionevoli.
Dobbiamo spingerci fino ad un piccolo stabilimento balneare che manda musica troppo forte ma davanti al quale fanno il bagno quattro simpatiche signore greche che al nostro passaggio esclamano in coro: "Ohhh, barculino!"
Appena oltre c'è una spiaggia attrezzata con la kantina ancora chiusa benchè la stagione estiva sia ormai inoltrata.
Sbarchiamo accanto alla fila di ombrelloni di paglia e ci concediamo una cena frugale senza cucinare: restiamo a goderci la calma del mare che a quest'ora è piatto come uno specchio e che in questo punto è chiuso su ogni lato da terre emerse come un grande lago interno. I ciottolini policromi che si spargono sulla spiaggia rossa della battigia sono smossi di tanto in tanto da un treno d'onde provocato dal passaggio di un traghetto, per il resto il silenzio è tale che non si avverte neanche il minimo suono di risacca.
E' la spiaggia dei fuoristrada parcheggiati in riva al mare: ce ne sono almeno una decina e l'ultimo che arriva si spinge sempre un poco più avanti del precedente. Ad un certo punto temiamo che quello verde scuro vada fino in acqua: capiamo subito che la manovra non è azzardata ma voluta, e talmente frequente da essere diventata naturale, ed in fondo del tutto giustificata, l'unico fuoristrada ad avere il diritto di lasciare il segno del suo passaggio fin quasi sulla riva. Scende un'allegra famigliola con nonno e nonna, due genitori e due figlioletti gemelli: il padre è paraplegico e viene spinto in acqua sulla sedia a rotelle per un lungo bagno ristoratore insieme a tutti gli altri, non solo i componenti delle famiglia ma anche molti degli altri bagnanti già in ammollo da tempo. Sembra che qui si conoscano tutti o che i tempi di fruizione del mare di casa li abbia fatti diventare amici: molti arrivano che è quasi l'ora del tramonto e restano a godersi il mare caldo e calmo finchè c'è luce. I bambini giocano tra loro e le mamme li imboccano con frutta fresca ed acini d'uva nera. E' un modo molto spontaneo e conviviale di vivere il mare, forse dopo una lunga giornata di lavoro trascorsa nei campi, a giudicare dal tipo di abbronzatura di alcuni di loro, oppure a curare il gregge di pecore e capre, a sentire lo scampanellio continuo che sembra avvicinarsi alla spiaggia ogni minuto di più.
Quando il sole tramonta dietro le tamerici, tutti scompaiono e noi diventiamo i padroni della spiaggia.

Le trasparenze del golfo di Patrasso
Gli accessi improbabili al mare...
Gabbiani
Un'altra collezione fotografica delle mie...
Lunga sosta nella taverna sul mare di Kaminia

Venerdì 30 giugno 2017 - 55° giorno di viaggio
Akrotiri Mavri Myti - Kaminia (15 km)
Vento NW 3-5 nodi (F2) - mare quasi calmo - 28°C
La sveglia è all'alba.
Arrivano i tre operai che lavorano di buona lena per terminare i lavori di allestimento della kantina sulla spiaggia.
Noi abbiamo sfruttato la sua tettoia di paglia per l'ombra ed il suo tavolato per il perfetto piano d'appoggio: loro scendono dal fuoristrada e notano subito la tenda, non sbattono le portiere e parlano sottovoce. Quando iniziano a martellare lo fanno quasi in silenzio, come intimiditi dalla nostra presenza. Mauro si sveglia per primo e si affaccia fuori dalla tenda: "Kalimera, kalimera". Il capo-mastro si avvicina e ci scusa del rumore: "Sorry, but this is the job". Ed è anche l'ora giusta per mettersi al lavoro, quando il sole non è ancora sorto da dietro i monti dell'altro versante del golfo e l'aria è ancora così fresca da farci tenere le magliette indosso. Smontiamo per lasciare campo libero agli operai.
Non ci siamo mai imbarcati così presto.
Tutta la costa corre bassa e sabbiosa, con troppe case costruite fin sul mare, che viste dal mare sono una tristezza, con tutti quei muretti finiti in acqua, mangiati e sbriciolati dalla potenza dei marosi. Per un breve tratto la costa si alza e la scogliera di arenaria offre qualche appiglio a radi alberelli di tamerici che però nulla possono contro l'aggressività dell'uomo, che continua a costruire anche dove la terra frana e che cerca sbocchi al mare anche dove non sarebbe possibile raggiungerlo.
Sappiamo di dover portare pazienza, che tutta la costa fino a Patrasso è molto antropizzata e rovinata, che le ville cedono il passo ai ristoranti e questi agli stabilimenti balneari e che è tutto un susseguirsi di costruzioni alte e basse che arrivano a mangiare il mare.
Costeggiamo alla ricerca di un punto di sbarco, oggi siamo intenzionati a fare una tappa più breve del solito.
Fa più caldo del solito, almeno nel cuore di questo ampio golfo di acqua immobile dove non arriva neanche il più flebile soffio di vento. Anche l'acqua è più calda del solito, con una temperatura che cresce man mano che ci spingiamo all'interno del golfo.
Se ci fermiamo da queste parti, domani possiamo superare il porto di Patrasso e cercare un campo oltre la città più animata e trafficata della zona. C'è una kantina abbandonata con un'ampia tettoia in legno ma la spiaggia antistante è troppo stretta per i nostri kayak; c'è una spiaggia attrezzata con ombrelloni, lettini e docce d'acqua dolce ma la musica è troppo alta per i nostri gusti; c'è poi un piccolo porticciolo dove non si vede nessuna barca attraccata, forse si è insabbiato ed è stato abbandonato ma non vogliamo restare così lontani dalla civiltà perchè abbiamo bisogno di rifornirci di acqua e di pane secco e frutta fresca. Insomma, cerchiamo un mix di condizioni forse impossibile da realizzare ma noi siamo i soliti sognatori ottimisti e non smettiamo di sperare.
Per qualche momento, stanchi di guardare la terra alla nostra destra, ci concentriamo sul mare alla nostra sinistra: scopriamo che l'acqua è più torbida rispetto a ieri ma ancora pulita per essere nel cuore del golfo di Patrasso, uno dei più trafficati della Grecia; scrutiamo sul basso fondale alla ricerca di nuovi tesori, dopo la schiera di ricci di mare abbarbicati sugli scogli affioranti e dopo un letto di alghe giallognole che sembrano tanti fiorellini poggiati sul fondo del mare; scorgiamo anche un folto gruppo di sterne artiche che pescano nell'acqua bassa e subito riparliamo tra noi del bel documentario "Il popolo migratore", grazie al quale abbiamo scoperto che questi piccoli uccelli migratori volano ogni anno dal Polo Nord al Polo Sud e viceversa, per due volte all'anno, girando intorno al globo per tutta la loro vita.
Dopo qualche chilometro, più di quelli che avevamo messo in conto, troviamo finalmente il posto giusto: una taverna affacciata sul mare, un po' d'ombra sotto un bell'esemplare di eucaliptus e una spiaggia di ciottolini policromi sulla quale i nostri kayak possono riposare tranquilli.
Saliamo la scaletta imbiancata della taverna e guardiamo il mare per il resto della giornata.

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lunedì 26 giugno 2017

Zante, l'isola delle tartarughe marine...

Venerdì 23 giugno 2017 - 48° giorno di viaggio
Porto Roxa - Limni Keriou, Zante ((30 km)
Vento NW 10-12nodi (F4) - mare poco mosso - 26°C
Sono già tre notti che perdiamo il sonno.
La prima perchè il porto di Agios Nikolaos è molto frequentato fino a notte fonda. La seconda perchè il porticciolo di Porto Vromi è molto frequentato sin dal primo mattino. La terza, stanotte, perchè lo scivolo di alaggio di Porto Roxa è molto più frequentato di tutti gli altri.
Quando torniamo dalla taverna troviamo il triangolo di cemento che avevamo adocchiato per montare la tenda già occupato da un'auto senza targa che sul sedile posteriore carica un enorme cesto per la pesca, quello con tremila ami legati allo stesso filo adagiato in maniera apparentemente inestricabile sul fondo. Alle cinque del mattino arrivano i tre pescatori dell'apocalisse che, senza curarsi minimamente di noi e della nostra tendina montata ad un passo dall'auto senza targa, iniziano una serie di complicate manovre di terra e di mare per sbarcare un motoscafo, per imbarcarne un altro e alla fin fine per imbarcarsi tutti alla volta del mare nero come la pece. Rientrano a mattina fatta, quando noi siamo sfatti per la stanchezza.
Mai avuto occhiaie così marcate durante i viaggi in kayak: quasi mi prende un colpo davanti allo specchio del bar dove mi rifugio per ingurgitare un caffè frappè nella vana speranza di recuperare le energie perse durante la notte insonne.
Porto Roxa non è cambiato molto in dieci anni: c'è un bar che offre sdraio e ombrelloni gratuiti proprio sopra il "nostro" scivolo, una taverna che si apre sui gradoni realizzati sulla scogliera dalla quale fanno tuffi acrobatici adulti e bambini; sulla strada altre due taverne offrono altre sdraio gratuite sistemate tra gli scogli taglienti ed irregolari, tra i quali sono stai realizzati piccoli sentieri in cemento che conducono al mare e che circondano anche un paio di piccole piscine naturali.
La vista panoramica al tramonto diventa indimenticabile e di notte è anche più suggestiva perchè il mare è tutto nero fino oltre l'orizzonte ed in quel buio pesto non si distingue la benchè minima lucina, vicina e lontana, se non quelle delle navi da crociera che accendono l'oscurità per qualche momento soltanto. Il nero della notte è avvolgente e totale e le stelle di colpo diventano milioni di milioni.
Al mattino tutto riprende vita e colore, con lentezza e tranquillità: il bar apre alle dieci, le taverne anche più tardi, nessuno arriva da queste parti fin quasi all'ora di pranzo. Non fosse stato per i tre pescatori dell'apocalisse, con le loro urla notturne e tutto quel trambusto esagerato, avremmo potuto gustare in pieno la pace che questo posto ingiustamente trascurato sa ancora regalare.
Saliamo in kayak già stanchi e contiamo le pagaiate che ci separano dalla sosta successiva, ben sapendo che sarà una lunga giornata di mare.
Come nei due giorni precedenti, anche oggi la tappa è forzata. Non ci sono possibili punti di sbarco lungo tutto il versante sud-occidentale di Zante e anche quei pochi segnati sulla carta non sono più praticabili perchè le frane provocate dai terremoti, così frequenti sull'isola, hanno ostruito o ricoperto le piccole spiagge di ciottoli bianchi che un tempo si aprivano ai piedi di queste pareti strapiombanti.
Per oltre venti chilometri si susseguono senza alcuna interruzione faraglioni, archi naturali e grotte di tutte le forme e dimensioni. Ci ricordiamo ancora dell'espressione rassegnata del nostro amico Papele quando siamo venuti insieme nel 2007: "No vabbè, ancora grotte, ma basta!". Si perde subito il conto, inutile contarle e inutile spazientirsi: a Zante ci sono più grotte che nel resto del Mediterraneo!
Tra i massicci lastroni rocciosi che scivolano in mare da altezze vertiginose e le incredibili stratificazioni bianco panna, rosa fragola e giallo ocra che corrono lungo i versanti scoscesi delle montagne si incuneano così tante cavità che c'è solo l'imbarazzo della scelta, tra grandi e piccole, alte e larghe oppure basse e strette, o qualunque altra combinazione possibile. Ce ne sono così tante che non si riesce ad entrare in tutte: "Ogni volta che pagaio in questa parte di Zante, finisco sempre col buio", ci aveva detto Pavlos qualche giorno prima a Cefalonia. Era capitato anche a noi, proprio nel nostro primo viaggio alle Isole Ioniche del 2007, di sbarcare a notte fonda e di tornare indietro la mattina dopo per riprendere a pagaiare da dove avevamo lasciato in sospeso per via della notte incipiente e inarrestabile.
Oggi il mare ci spinge e tutto scorre più veloce.
Meglio così, perchè con tutto il sonno arretrato che abbiamo rischiavamo di non andare da nessun parte. Facciamo una pausa rigenerante su una spiaggia "cresciuta" ai piedi di una volta vastissima e bianchissima, dove fa un caldo pazzesco e dove temiamo che un sassolino di qualunque dimensione, dalla briciola alla bitta, possa cadere dall'alto da un momento all'altro.
Superiamo di gran carriera il faro nascosto sulla cima del capo sud-occidentale dell'isola: il vento è aumentato e insieme alla bandierina sulla poppa del Voyager di Mauro fa gonfiare anche la bandiera posta accanto al faro e che anche da così in basso ci appare come la più grande che ci sia mai capitato di vedere sventolare su un pennone, pure questo tra i più grandi di sempre.
Sia Kopakonisi che Mysithres sono definiti isolotti (Nisos - Islet) ma nessuno dei due ha un passaggio verso terra ed il secondo, posto proprio sotto il faro, ha soltanto un piccolo arco passante che con questo mare non ci sentiamo di attraversare, visto che il suo strettissimo occhio è tutto occupato dagli spruzzi delle onde che si infrangono rumorose sulla costa rocciosa.
I pini marittimi ricoprono le scogliere con giochi di colori molto suggestivi ed un inseguirsi di luci ed ombre che prosegue per tutto la penisola. L'avevamo chiamato Capo Groviera, questo grande promontorio che chiude a sud-ovest l'isola di Zante: è rimasto com'era, pieno di fori di ogni tipo, in basso al livello del mare ma anche in alto tra gli alberi. E' solo molto più "turistico" di come ce lo ricordavamo, battuto com'è oggi da strane barche a motore che sembrano delle impressionanti supposte colorate: le reazioni dell'Uomo di Ferro sono inenarrabili, ma purtroppo finchè ci sarà domanda, queste armi improprie continueranno a far danni, senza che forse nessuno dei suoi occupanti riesca a rendersi conto dell'offesa così arrecata al mare!
Quando sbarchiamo non facciamo in tempo ad inviargli un messaggio che subito arriva Dimitris e ricominciano le chiacchiere!

Porto Roxa all'imbarco del mattino assonnato...
La costa sud-occidentale di Zante...
Il capo sud-occidentale di Zante, col faro nascosto dietro la bandiera, all'inizio di Capo Groviera...

Sabato 24 giugno 2017 - 49° giorno di viaggio
Limni Keriou - Porto Roma, Zante (19 km di cui 16 in pseudo-traversata)
Vento NW 3-5 nodi (F2) - mare calmo - 27°C
Uccellini sulla tenda, appollaiati in circolo a trillare al nuovo giorno, troppo presto per i nostri tempi.
Quando attaccano a lamentarsi anche i pavoni di chissà quale giardino ci decidiamo ad uscire nel mattino ormai fatto e a raggiungere Dimitris per la colazione al bar. Dopo pochi convenevoli e la solita perfetta introduzione alla giornata di kayak, lo vediamo partire coi quattro clienti alla volta dell'isola di Marathonisi e noi lo seguiamo dopo le "solite" tre ore.
L'isola è diventata famosa tra i turisti come l'isola delle tartarughe, nota anche come Turtle Island, e se la sia guarda da terra ha proprio il profilo di una tartaruga marina. Ha un versante roccioso che guarda Capo Groviera, con un paio di grotte prese d'assalto da vari motoscafi di varie dimensioni, ed un'unica lingua di sabbia che si allunga verso nord come un perfetto triangolo bianco puntato nel mare verde e turchese. Nel 2007, quando l'abbiamo visitata per la prima volta, c'erano tanti trespoli di legno posizionati qua e là per proteggere i nidi delle tartarughe: ora invece l'intera spiaggia è recintata. E meno male, perchè sulla battigia c'è un carnaio di gente ed in mare un intrigo di barche e persino una serie di ben cinque (cinque!) bar galleggianti! Strano modo di gestire l'area marina protetta: a terra è pieno di persone e le spiagge sono ricolme di ombrelloni, anche se vige il divieto di frequentarle dopo il tramonto e fino all'alba, il momento in cui le tartarughe depongono le uova; in mare, poi, è pieno di motoscafi e supposte colorate che vanno continuamente avanti e indietro, anche se vige l'obbligo di non superare i sei nodi. Sono anche state individuate tre zone distinte ed in quella denominata A, sul versante orientale dell'ampio Golfo di Laganàs, è stato introdotto il divieto assoluto per qualsiasi attività, quindi nessuna imbarcazione, neanche un kayak, può transitare o gettare l'ancora o men che meno pescare. Bene, ottimo, per tutelare la tartaruga Caretta caretta minacciata d'estinzione siamo ben disposti a rinunciare a qualche chilometro di costa: solo che quel versante del golfo è quello con meno spiagge e con più scogliere rocciose, mentre dove le spiagge sono più lunghe e più appetibili per le tartarughe la zona di riserva è soltanto B, cioè le barche possono transitare ma non gettare l'ancora.
Vabbè, ci aspettiamo di non vedere neanche l'ombra di una tartaruga.
Facciamo rotta verso il largo, puntando l'altro isolotto del golfo, il Pelouzo che segna il limite tra la zona A e la zona B ed il confine di tutta la riserva marina: in acqua troviamo solo due boe arancioni con delle lettere nere pitturate a mano che fanno quasi tenerezza. Non c'è nessun controllo in mare, come invece avevamo trovato nel 2007 e anche nel 2009, quando un gommone di guardia-parco ci aveva affiancato per spiegarci fin dove potevamo spingerci in kayak e dove invece cominciava la zona di tutela assoluta. Mauro ad un tratto mi fa: "Ma come pensano di garantire una tutela assoluta se poi costruiscono un albergo di... quattro, cinque, sei, sette piani!?!". Capisco solo dopo un bel po': "Mauro, quello non è un albergo ma un uliveto disposto su terrazzamenti". "Bene, è giunto il tempo di un più accurato controllo oculistico", chiosa l'Uomo di Ferro.
Chiudiamo la traversata del golfo puntando sulla cresta rossa e bianca che sovrasta l'ultima spiaggia protetta e che in un punto sembra mangiata da un gigante che ha morso la parete di arenaria argentata.
Il versante orientale di Zante è pieno di ville con piscine, forse tutte alimentate con acqua salata: non è più l'uomo che va al mare, ma il mare che va all'uomo. E l'isola cambia volto all'istante, in maniera del tutto inaspettata ma molto sgradevole... Peccato.
Siamo però sempre convinti di una cosa, che si è rivelata una piccola grande verità nei tanti nostri viaggi in kayak e che per questo abbiamo fatto diventare anche un motto nella nostra vita di tutti i giorni: c'è del bello in ogni cosa, anche la più brutta. Lungo questa costa deturpata, con alberghi di troppi piani e case troppo vicine al mare, c'è un angolo ancora curato e tranquillo, con una bella taverna mimetizzata tra la macchia e gli ulivi e con una piccola spiaggia di sassi policromi lavorati dall'acqua. Ceniamo al tramonto in compagnia di Dimitris e della risacca del mare, mentre al largo passa un traghetto che si infuoca con l'ultimo raggio di sole.

Il primo arco di Capo Groviera
Il secondo arco di Capo Groviera...
La supposta galleggiante gialla...
La spiaggia attrezzata di Limni Keriou
Brindisi con Dimitrsi: Yamas!
La calca di Turtle Island
L'isola di Pelouzo

Domenica 25 giugno 2017 - 50° giorno di viaggio
Porto Roma - Porto Roma, Zante (0 km = 140 km in motorino!)
Vento variabile - mare lontano! - 28°C
Per la prima volta non montiamo la tenda: dormiamo sui lettini prendisole della spiaggia.
Dimitris è stato così gentile da telefonare ad un amico per aiutarci a noleggiare un motorino: vogliamo visitare l'interno di Zante e su suo suggerimento cominciamo dal paesino di Keri, appollaiato sulla cresta di Capo Groviera, proprio a un chilometro dalla bandiera greca più grande di tutte e dal faro del capo sud-occidentale dell'isola.
Ma quanto è difficile la vita a due ruote!
Chissà perchè riusciamo a passare giorni interi col culo in kayak ma non siamo capaci di sopportare più di un'ora seduti in motorino!
Oggi è uno strazio, una tortura, un incubo: ogni tot dobbiamo fermarci per un altro tot, di solito ben più lungo del primo, per sgranchirci le gambe e per riattivare la circolazione, nella zona della natiche soprattutto. Nonostante questo procedere a singhiozzo, riusciamo a visitare una buona metà dell'isola, specie lungo il versante occidentale più solitario e selvaggio, dove non passa nessun altro, nè in auto nè in moto. Finiamo per arrampicarci su per i tornanti che conducono a due paesini dell'entroterra che Dimitris ci aveva consigliato e ci ritroviamo circondati solo da uliveti e vigneti. Da queste parti non ci sono rotonde con strani diritti di precedenza, sempre a chi proviene da destra, come avevamo trovato a Cefalonia durante il Lumakakis quad tour, ma ci sono invece degli strani segnali stradali che non sempre riusciamo a decifrare. Ci godiamo la visita sulla garrota a due ruote fin tanto che ce lo consentono le nostre chiappe. Poi torniamo mogi mogi verso il punto di partenza.
Dimitris è così carino che ci viene incontro nella capitale Zante anche stasera, per un saluto veloce per il nostro ultimo giorno sull'isola. Nonostante il lavoro intenso, le giornate piene e la fatica evidente, Dimitris ha sempre trovato il tempo per stare un po' con noi e per aiutarci ad organizzare al meglio il nostro soggiorno a Zante, scegliendo i ristoranti più caratteristici e riempiendo le serate di chiacchiere divertenti sul kayak e sul suo lavoro di guida. Oggi non ceniamo insieme perchè siamo tutti troppo stanchi per starcene ancora in giro, anche se per motivi completamente diversi: lui perchè è nel pieno della stagione lavorativa, noi perchè abbiamo fatto l'errore di salire su uno trabiccolo dal sellino scomodissimo.
Rientriamo alla "nostra" taverna sul mare sporchi di polvere e puzzolenti di smog, perchè la città di Zante ci sembra una grande metropoli in confronto agli altri piccoli villaggi dell'isola. Siamo stanchi morti, più di quando pagaiamo per ore intere, e siamo anche affamati come poche altre volte. Ci aspettano i piatti speziati e delicati di Joanna, la cuoca migliore dell'isola: chiacchieriamo con una coppia di austriaci che da quindici anni trascorre qualche settimana a giungo in una casetta circondata da un vasto giardino proprio a due passi dalla taverna e che si incuriosisce al nostro viaggio non appena capisce che ci sono due kayak sulla spiaggia appena oltre la fila di ombrelloni.
Dormiamo ancora sulle sdraio, dopo che con qualche fatica riusciamo a sfilarci dai racconti di Joanna, che oltre ad essere una grande cuoca è anche una grande chiacchierona.

L'estremità sud-orientale della riserva marina di Zante...
Le creazioni di Porto Roma
Prima notte senza tenda!
Garrotatis bike tour in Zante!
Il paesino di Kiliomenos
Cucina d'autore!

Lunedì 26 giugno 2017 - 51° giorno di viaggio
Porto Roma, Zante - Akrotiri Tripiti, Peloponneso (19 km di traversata)
Vento W-SW 5-6 nodi (F2) - mare calmo - 29°C
Il cielo sulle nostre teste è carico di stelle.
La notte è silenziosa, interrotta solo dallo stridio dei nostri materassini adagiati sulle sdraio di tela.
Il mattino si annuncia lungo, lento e caldissimo, con l'aurora che accenda l'orizzonte di un arcobaleno cupo come disegnato a colori pastello.
Salutiamo la nostra ospite preferita, Joanna, che oggi tiene un corso di cucina con cinque signore olandesi un po' imbranate, a giudicare da come si muovono impacciate ed insicure nei vari spazi della cucina aperta sulla terrazza panoramica. Joanna invece è sempre sorridente, anche se il caldo e la stanchezza rendono evidente che la stagione ancora lunga lascerà presto un altro segno sulle sue gote rosse come ciliege. Ci saluta con un misto di ammirazione e nostalgia, che è un po' anche la mescolanza di sentimenti che noi proviamo nel lasciare lei e la sua isola.
La traversata si annuncia facile e tranquilla, sin troppo. E' tutto così immoto che la coltre di umidità nasconde tutto il Peloponneso.
Non tira una bava di vento e per la prima ora facciamo fatica a tirarci via dalle orecchie i rumori molesti della costa animata dagli sport acquatici, con le moto d'acqua a fare avanti e indietro, i motoscafi a tirare banane e divanetti gonfiabili e pure dei "tira-salsicce" che corrono a motori spianati per far sollevare sull'acqua un gigantesco paracadute con due persone appese sotto come due salamelle. Quando finalmente siamo abbastanza lontani dalla costa da sentire di nuovo il suono delle gocce che scivolano giù dalla pagaia, si affianca alla nostra rotta il piccolo traghetto che fa la spola tra la città di Zante ed il porto di Killini sul Peloponneso e per un'altra ora rimbomba il suo brontolio in maniera così persistente da far vibrare persino il pozzetto dei kayak. Poi finalmente torna il silenzio.
E le tartarughe che non avevamo visto a Zante, l'isola delle tartarughe, si fanno vedere tutte in traversata.
Mauro ne avvista una a pelo d'acqua ma quella si inabissa non appena vede l'ombra del kayak avvicinarsi. Poco dopo ne avvisto una anche io e riesco a seguirla per qualche tempo senza che lei se ne abbia a male. Quando siamo quasi in prossimità della costa del Peloponneso ne compare una terza che sembra voglia accompagnarci per un tratto, volando leggera e veloce appena sotto i nostri kayak e seguendo la nostra stessa rotta senza spostarsi mai. Si lascia fotografare, filmare e persino salutare, quando sopraggiunge un piccolo catamarano a vela che taglia l'acqua così veloce da spaventarci tutti, noi e la "nostra" amica tartaruga.
Dopo quattro ore tonde, come previsto, sbarchiamo su una bella spiaggia a mezza luna chiusa sul lato terra dal un paesotto di case colorate a più piani e sul lato mare da una serie di scogli lavorati dall'acqua e dal vento. Akrotiri Tripiti è invitante per noi e per i kayak: c'è posto a sufficienza per montare la tenda sulla sabbia fine e c'è anche tempo sufficiente per aspettare il tramonto in taverna, quella affacciata sul mare da una terrazza di legno ricolma di divanetti imbottiti.
Speriamo di tutto cuore di dormire più a lungo, così da recuperare un po' del sonno perduto nei giorni passati e da tornare ai nostri soliti ritmi lenti, con le notti di dieci e più ore filate, piene di sogni e di stelle (specie ora che col caldo in aumento non abbiamo più bisogno di montare il telo esterno della tenda): ci godiamo tutto il tepore di questa serata greca e ritroviamo il canto notturno dell'uccello-sonar, che nel frattempo abbiamo scoperto essere un assiolo, un bellissimo rapace simile ad un piccolo gufo dagli occhi grandi e dallo sguardo smarrito... chissà perchè si appostano tutti così vicino al nostro campo!
La speciale ninna-nanna non ci disturba affatto e anzi ci suona familiare: dobbiamo riprendere le forze perchè da domani comincia l'esplorazione degli oltre mille chilometri di costa del Peloponneso e siamo sicuri di vivere nuove emozioni e nuovi incontri. Hella, hella!

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domenica 25 giugno 2017

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sabato 24 giugno 2017

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giovedì 22 giugno 2017

Un mare di emozioni...

Martedì 20 giugno 2017 - 45° giorno di viaggio
Trapezaki, Cefalonia - Agios Nikolaos, Zante (28 km di traversata) 
Vento W 12-14 nodi (F4) - mare poco mosso - 24°C
Che fatica staccarsi da Cefalonia!
Quasi quasi pensiamo di rimandare la partenza.
Ma la traversata è di per sè molto invitante, col vento che rinforza dopo pranzo e preannuncia qualche ondina ad accompagnare la navigazione. Anche riprendere il mare dopo cinque giorni di pausa è avvincente, sebbene i muscoletti non rispondano con la sperata scioltezza. In più, abbiamo talmente tante emozioni da elaborare, tra tutte quelle vissute nei giorni appena passati, che le miglia scorrono sotto lo scafo così veloci che quasi non ce ne rendiamo conto.
Il mare è una tavola blu per tutta la mattina.
Le prime sbuffate gentili coprono di striscioline bianche il canale tra le due isole e qualche nuvoletta vela di macchioline grigie il cielo altrimenti luminoso proprio quando noi ci decidiamo a salire in kayak. La traversata è comunque tranquilla, anche se più lunga del dovuto: scegliamo di non costeggiare Cefalonia fino al suo capo meridionale, da dove eravamo partiti nelle altre traversate del 2007 e 2009 e da dove avremmo potuto accorciare le distanze ad appena 16 chilometri, ma ci avventuriamo subito verso il largo per riprendere confidenza col mare aperto, di cui cominciavamo a sentire un po' di nostalgia.
Parliamo molto tra noi, stavolta, contravvenendo alla regola non scritta delle silenziose traversate in kayak.
Sono più delle riflessioni a voce alta che non delle chiacchierate in libertà: abbiamo bisogno tutti e due di dare un senso alle cose viste, agli incontri fatti, alle esperienze vissute. Sono state giornate piene, quelle vissute a Cefalonia, e parlarne ancora ci aiuta a conservarne il ricordo.
Ripensiamo all'entusiasmo di Pavlos per il suo skin-of-frame, il kayak tradizionale groenlandese che ha costruito in quattro mesi di lavoro invernale seguendo passo passo le istruzioni di un famoso manuale tecnico: ce lo ha mostrato tutto orgoglioso, precisando subito che mancano le rifiniture finali perchè non se la sente ancora di forare la tela per inserire le cime del ponte, e ci ha chiesto qualche consiglio pratico per allestire il pozzetto in maniera da poterlo usare non solo per pagaiare ma anche per rollare, "perchè il kayak è nato per questo, sento che vuole rollare"!
Ripensiamo anche alla coppia di inglesi che era con noi, Pavlos e gli altri compagni di kayak nell'ultima sera trascorsa in taverna, talmente impressionata dal nostro lungo viaggio estivo da voler sapere anche degli altri giri che abbiamo fatto a zonzo per il Mediterraneo, interessati soprattutto ad avere notizie dell'amata Minorca e contenti di sapere che a distanza di anni non è cambiata poi tanto ma ha saputo mantener inalterato il suo fascino selvaggio (non vediamo l'ora di tornarci ai primi di ottobre!).
Ripensiamo soprattutto ai due bambini dai capelli neri e dai grandi occhini scuri che Ivonne ha accompagnato a prendere un gelato: fanno parte della famiglia di rifugiati ospiti da mesi in casa di Ivonne e Pavlos e ad appena cinque anni parlano già ben cinque lingue tra inglese, arabo, turco, curdo e greco. Ci chiediamo quante esperienze possono già avere fatto questi due bimbetti legati a tre continenti, quanta cultura si portano dietro nei loro viaggi continui, quanto dolore devono avere già conosciuto se sono scappati da una guerra. Sono loro i veri cittadini del mondo, gli stranieri che portano ricchezza perchè hanno visto cose che noi non abbiamo visto ma che possiamo ancora vedere tramite i loro occhi, nei loro sguardi. Se invece di trincerarsi dietro la paura del confronto e dell'apertura, i tanti che da sempre si scagliano contro i migranti o che oggi blaterano cose insensate contro lo ius soli, avessero il coraggio di vestire i panni di questa bambina poliglotta anche solo per qualche giorno, o di camminare per tre lune con le scarpe di questo bambino dalla risata contagiosa, allora forse la smetterebbero di dividere il mondo in bianchi e neri e altri colori inventati, la finirebbero di costruire muri di filo spinato e capirebbero forse che questi confini artificiali e ideologici non aiutano nessuno, perchè il mondo è fatto di persone diverse ma uguali, con le stesse aspirazioni e gli stessi diritti, ovunque abbiano avuto la buona o la cattiva sorte di nascere e di crescere. L'incontro con l'altro è così interessante, così intrigante, così emozionate, sempre, che perdere l'occasione di conoscere persone di altre lingue, altre terre e altre esperienze è uno dei più grandi errori che si possano commettere. In viaggio è facile e frequente: se in viaggio non ci mettiamo noi, ma ci si mettono loro, approfittiamo almeno di questo, di viaggiare attraverso i loro viaggi.
A questo e a tanto altro pensiamo e ripensiamo durante la traversata da Cefalonia a Zante.
Cinque ore di grandi chiacchierate e di altrettanto grandi silenzi.
Il mare ascolta la nostra conversazione, accoglie le nostre riflessioni, accompagna il nostro passaggio.
L'isola che prima era di là dal mare ora è sotto i nostri piedi.
Appena arrivati già siamo sistemati: lo scivolo del porticciolo di Agios Nikolaos è perfetto per tirare in secca i kayak e le poche barche sistemate sugli invasi, alcuni di fortuna, per la pulizia ed il restauro dello scafo offrono un riparo adeguato dal vento. Speriamo che l'ingegnoso sistema di bidoni e ciocchi di legno non crolli proprio sopra la nostra tenda e ci infiliamo nella prima taverna aperta per mettere a tacere i borbottii della pancia e della testa...

Il campo nel porto di Agios Nikolaos a Zante...
Alla scoperta delle Blu Caves...
La famosa baia del Navagio...
Grazie a Dimitris per la foto a Porto Vromi!

Mercoledì 21 giugno 2017 - 46° giorno di viaggio
Agios Nikolaos - Porto Vromi, Zante (23 km)
Vento W-NW 8-10 nodi (F3) - mare poco mosso - 25°C
"Mauro, Maurooooo"!!!
Mi sveglia l'urlo allegro e ripetuto di Dimistris.
E' appena arrivato in porto col carrello carico di kayak colorati: è il titolare del centro kayak di Zante "Sea Kayaking Zakynthos" e oggi accompagna un gruppo di otto turisti in visita alle Blu Caves, sul capo nord-orientale dell'isola. Ci stava aspettando ma non sperava di trovarci già in porto: siamo contenti quanto lui di rivederci, dopo esserci conosciuti lo scorso novembre ad Atene durante la serata di presentazione del nostro viaggio alle Isole Cicladi. Ci gustiamo la sua introduzione alla pagaiata e la sua perfetta mimica della postura corretta da tenere in kayak mi strappa una sonora risata. Ci diamo appuntamento alla sera e tutti, prima lui col suo gruppo e poi noi con la nostra solita lentezza, ci togliamo dalla confusione che regna nel porto, ricolmo di imbonitori che invitano a non perdere l'occasione di visitare uno dei gioielli dell'isola e di barche stracolme di gente già pronte a partire a tutto motore alla volta delle grotte azzurre.
Il vento si è alzato presto, stamattina, e soffia contrario per la prima parte della nostra tappa giornaliera.
Costeggiamo fino al faro, sia per entrare nelle varie cavità naturali che impreziosiscono questo tratto dell'isola e sia per sottrarci al traffico irregolare ed imprevedibile di tutti i motoscafi che scorrazzano avanti e indietro. Poi restiamo soli, come per magia. Oltre il capo non c'è più nessuno.
La costa settentrionale di Zante è selvaggia, disabitata ed impervia, senza strade se non un paio di sterrati che corrono a zig-zag tra la macchia ma che non raggiungono il mare. Uno ce lo ricordiamo bene, perchè è stato il nostro primo punto di sbarco su Zante dopo la nostra prima traversata da Cefalonia nel 2007: stanchi e contenti, siamo stati attratti dal tracciato rossiccio che scendeva dalla collina ma ci siamo dovuti accontentare di sistemarci come i granchi sui pochi scogli affioranti perchè la strada finiva nel nulla e dell'attracco non c'era neanche l'ombra. Non c'era allora e non c'è nemmeno ora, a distanza di dieci anni tondi tondi. Buon segno.
Proseguiamo alla (ri)scoperta delle poche spiagge di sabbia chiara e fine che sono state in parte coperte dalle frane, come è accaduto anche a Cefalonia, e dopo qualche ora, rallentati dal deciso vento contrario, facciamo il nostro ingresso solenne nella baia del Navagio, la spiaggia forse più famosa di Zante, quella che ospita il relitto arrugginito di una vecchia nave da carico, forse di contrabbandieri. Dopo averci passato la notte sia nel 2007 che nel 2009, quando le condizioni meteo-marine erano avverse al punto da sospendere le corse turistiche, oggi non ci avviciniamo neanche alla riva perchè è piena di barche in mare e di gente a terra.
C'è acqua fredda sui capi ed una bella corrente nello stretto dell'isoletta di Agios Ioannis, quella che chiude il golfo di Porto Vromi.
La nostra meta è ormai vicina e ci arriviamo mentre rientrano gli ultimi barconi di turisti.
Il golfo ospita una doppia cala dove sono sistemati in ordine sparso ma razionale una serie di caicchi colorati, utilizzati un tempo per pescare ed oggi per trasportare bagnanti alla spiaggia del Navagio. C'è qualcuno incuriosito dal nostro arrivo che si avvicina per avere informazioni, un ragazzo francese, un altro ungherese, e anche due ragazze italiane che da anni vivono a Londra e che non hanno mai pensato di poter fare le vacanze in kayak (ma forse adesso ci proveranno, per qualche giorno, almeno!)
Poi arriva Dimitris, sorridente e allegro come sempre: ci invita a cena e siccome la kantina sulla spiaggia sta giusto chiudendo i battenti, ci accompagna in auto fino al villaggio nell'entroterra, Mariès, dove conosce i gestori della taverna centrale. Dimitris ha voglia quanto e più di noi di riempire la serata di chiacchiere sul kayak e non la finiamo più di farci domande, scambiarci impressioni e programmare insieme nuovi incontri. Dimitris è un vero greco e come tradizione vuole ci riempie di regali: una bottiglia di vino per Mauro, di quello buono prodotto dal suo vicino di casa, ed una conchiglia per me. Come se non bastasse, ad un certo punto tira fuori anche un altro pacchetto, preparato dalla sua ragazza, appassionata quanto me di raccogliere sassolini e conchigliette: ha realizzato un pendente di legnetti e vetrini lavorati dal mare e legati insieme in maniera molto semplice ma creativa, proprio come piace tanto a me!
Con Dimitris non c'è verso di pagare niente, nè la cena della sera nè la colazione della mattina dopo!

Lo scivolo di Porto Roxa!

Giovedì 22 giugno 2017 - 47° giorno di viaggio
Porto Vromi - Porto Roxa, Zante (19 km)
Vento NW 6-8 nodi (F2-3) - mare poco mosso - 26°C
Stiamo giusto smontando la tenda quando Dimitris arriva con i suoi kayak colorati sul carrello: oggi accompagna quattro turisti fino alla spiaggia del Navagio e vuole partire presto per evitare di trovare vento in rinforzo sulla via del ritorno. Noi possiamo come al solito prendercela più comoda di loro e come nulla fosse arriva mezzogiorno.
Ci imbarchiamo quando ormai la spiaggia è stata tappezzata dai teli da mare dei vari bagnanti che hanno scelto di restare qui invece di imbarcarsi alla volta del Navagio. Pensiamo che alla fine dei conti ci imbarchiamo tutti per lo stesso motivo: per andare a vedere cosa c'è di là. E si imbarcano per gli stessi motivi anche i migranti, per venire a vedere cosa c'è al di qua del mare, anche se spesso loro non hanno la nostra fortuna di privilegiati che scelgono dove andare in vacanza, magari ogni anno in un posto diverso, mentre troppi di loro non lo fanno per scelta ma perchè proprio non hanno altra scelta... E quanto più coraggio devono avere loro, invece, per affrontare un mare che non conoscono ed arrivare in un paese che non li vuole. Osserviamo a lungo le manovre di imbarco dei turisti, in file ordinate sopra il piccolo molo, una scena che si ripete più volte nel corso della mattinata e che ci richiama alla mente quelle viste tante altre volte su altri moli, ben più grandi e più affollati delle isole italiane e greche, dove la presenza scomoda di tutti quei migranti minaccia il turismo, che è fatto per le facce bianche e spensierate e non per quelle disperate e abbronzate, come diceva un nostro presidente del consiglio di un presidente americano... Altri tempi, altri luoghi. Altre riflessioni.
Fortuna che noi possiamo imbarcarci non solo per libera scelta, non solo perchè siamo così fortunati da essere in vacanza (e che vacanza, lunga cinque mesi!), ma anche perchè non dobbiamo pagare per salire a bordo. I due Voyager scivolano in acqua ed in pochi istanti siamo liberi. Liberi di pagaiare veloci verso sud, col vento che ci incalza da poppa, col mare che ci spinge verso le prime grotte.
Questa costa occidentale di Zante è la più bella dell'isola, così piena di cavità naturali. Non conosciamo un'altra isola come questa.
Siamo contenti di tornare ad esplorare le mille grotte di Zante dopo così tanto tempo. La meraviglia è la stessa di un tempo: "pagaiamo lungo una costa mozzafiato, frastagliata e varia, sempre con altissime falesie bianche e rosa e con scogli e insenature e buchi di ogni tipo, fino a raggiungere la grande baia di Ormos Katavasma, dove restiamo a bocca aperta sotto alla Grotta Madre a cinque arcate..." Così scrivevo nel mio diario otto anni fa.
Ci sono talmente tante grotte che si perde subito il conto: ce ne sono di alte e strette, di basse e larghe, di buie perchè la luce non filtra e di luminose perchè il sole fa brillare il fondale di sabbia chiara, ce ne sono con ingressi plurimi, con fori sull'ingresso o sul lato, di uscite nascoste che si intravedono solo al di là di altre arcate naturali, ce ne sono di tutti i tipi, grandi e piccole e adatte proprio ai nostri kayak. Beh, insomma, alla misura dei kayak, che possono entrare ed uscire con estrema facilità: non po' meno adatte ai nostri due Voyager, che per le loro linee, con le chiglie così pronunciate e gli scafi così allungati, risultano poco manovrieri e davvero poco versatili in questi spettacolari giardini di roccia.
Non ci sono punti di sbarco possibili tra Porto Vromi e Porto Limnionas perchè le poche spiagge che si aprono sotto le pareti rocciose sono tutte o quasi sommerse dalle frane recenti o remote.
Pagaiamo senza pensarci troppo, entrando in ogni golfo, finchè non ci accoglie un altro urlo: "Mauro, Maurooooo"! Stavolta sono le due ragazze italiane residenti a Londra che ci riconoscono e ci chiamano. Anzi, che chiamano lui, Mauro. Sono sulle sdraio sistemati sotto gli ombrelloni di paglia, allineati sugli scaloni di roccia ricavati nel piccolo fiordo di Porto Limnionas, dove arriva una strada asfaltata e dove hanno costruito un'unica taverna, proprio sopra i tre-quattro casotti in cemento che un tempo ospitavano le barchette dei pescatori locali e che ora accolgono i turisti più avventurosi che stendono i teli sui loro tetti piatti. Purtroppo non c'è spazio per tirare in secca i nostri due kayak e così dobbiamo proseguire per un altro paio di chilometri fino a Porto Roxa, dove sappiamo esserci un doppio scivolo di alaggio scavato tra gli scogli irregolari e appuntiti che in questo tratto dell'isola caratterizzano la costa bassa e aspra.
Arriviamo nel primo pomeriggio e abbiamo tutto il tempo di farci belli per passare la serata in taverna ad ammirare il tramonto sul mare.