SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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domenica 4 giugno 2017

Quattro isole in quattro giorni

Giovedì 1.6.2017 - 26° giorno di viaggio
Mikros Gialos, Lefkada - Akrotiri Elia, Meganisi (21 km di cui 1 in traversata)
Vento W 4-5 nodi (F2) - mare calmo - 22°C
Il primo giorno del nuovo mese si annuncia memorabile!
Ore 8.00: sveglia lenta e stropicciosa.
Ore 9.00: colazione in riva al mare.
Ore 10.00: compere al market locale.
Ore 11.00: ultima sosta al bar per un caffè frappè.
Ore 12.00: torniamo ai kayak per finire di riordinarli.
Ore 13.00: prendiamo il mare, finalmente...
Ore 14.00: raggiungiamo l'isola di Meganisi.
Ore 15.00: ci ritroviamo chissà come seduti in taverna!
Ore 16.00: ci appisoliamo all'ombra della veranda ricoperta di gelsomini in fiore.
Ore 17.00: ci forziamo a riprendere il mare, satolli di pomodori, peperoni e melanzane e con una digestione lenta e difficile.
Ore 18.00: scoviamo il nostro campo base dopo avere battuto tutti i golfetti dell'isola.
Ore 19.00: ceniamo solo con grissini di sesamo e pezzetti di zenzero.
Ore 20.00: indossiamo la tuta della nazionale italiana di canoa perchè l'arietta che sale dal mare è alquanto freddina.
Ore 21.00: montiamo la tenda tra i due Voyager e in meno di mezz'ora dichiariamo conclusa la giornata memorabile!

L'ultima caletta di Lefkada
L'arrivo a Meganisi

Venerdì 2.6.2017 - 27° giorno di viaggio
Akrotiri Elia, Meganisi - Ormos Gerolimionas, Kalamos (22 km di cui 8 in traversata)
Vento W 9-11 nodi (F4) - mare da calmo a mosso - 22°C
L'isola di Meganisi sembra una libellula.
Il corpo centrale si protende dal canale di Lefkada verso sud, affusolato ed allungato in mare, stretto poche decine di metri e lungo una decina di chilometri, con una strada sterrata che anni addietro e ancora oggi sulla mappa giunge solo all'attaccatura della coda, ma che ora prosegue al posto del vecchio sentiero sterrato lungo la dorsale fino alla cappella e al faro. Le ali della libellula sono aperte verso est e si aprono in un battito leggero e continuo che disegna sull'acqua cale e baie e golfi e spiagge e porticcioli, in un intricato e affascinante labirinto di rientranze che si susseguono lungo la costa bassa e frastagliata come tanti piccoli fiordi. La testa dell'insetto corrisponde ad un'isoletta piccolissima che guarda Lefkada, ricolma di ulivi e cipressi: sulla carta è riportata una chiesetta, l'occhio della libellula, ma dal mare non riusciamo a scorgerla.
La vegetazione è rigogliosa e le fronde delle querce arrivano a lambire il mare.
L'acqua è turchese e verde, trasparente come uno specchio.
La costa è tutta un richiudersi in angolini segreti e i due paesini sono dislocati nell'interno, sulle poche alture che l'isola offre.
Per uno strano gioco prospettico, gli alberi delle vele si nascondono tra gli alberi. A volte sembra che le barche navighino sulla terra e altre che siano ancorate nella boscaglia. In ogni insenatura si nasconde una barca e tutte hanno delimitato il territorio tirando due cime sugli scogli a terra.
L'isola di Meganisi è silenziosa e profumata.
Le spiagge sono formate da piccoli sassi bianchi che il mare non ha ancora finito di levigare per bene. Solo in pochi triangoli sparuti si accumula una sabbia chiara che quasi stona con la rugosità del terreno circostante. Le baie più profonde ospitano altre cale meno pronunciate e al fondo di ogni fiordo si assiepano le imbarcazioni, sia le vele dei turisti stagionali che i caicchi dei pescatori locali. Al mattino è tutto un andirivieni di motori che transitano davanti alla nostra tenda, chi entra e chi esce, chi torna da una giornata di lavoro e chi parte per un'altro giorno di vacanza. Quando l'acqua si cheta, le onde si rincorrono sulla battigia e sembra che si facciano l'eco.
L'isola di Meganisi è così piccola che si gira tutta in un solo giorno.
Le ali della libellula sono spiegate verso il mare aperto e sembrano un chiaro invitano a navigare lontano.
La foschia annulla la geografia.
Il mare racchiuso tra Lefkada, Meganisi ed il continente sembra un grande lago interno. Quando l'aria è limpida perchè pulita dai venti, le distanze tra le terre emerse si accorciano così tanto da avere l'impressione che ogni meta, anche la più distante, sembri sempre a portata di mano. Quando invece, come stamane, l'aria è appesantita dall'umidità, quel che prima sembrava vicino si allontana al punto che il lago diventa immenso. Eppure si riconoscono all'orizzonte, imbiancati dalla bruma marina, i profili diversi e familiari di tutte o quasi le Isole Ioniche: Lefkada che chiude lo sbocco al mare, Cefalonia che si innalza più a sud, Itaca che le fa da contorno, le piccole Kalamos e Kastos verso cui siamo diretti e le intermedie Arkoudi e Atokos che occupano il restante confine tra terra e mare.
Lasciamo la nostra baia quando il sole illumina le due torri che sbucano dalla boscaglia sul promontorio: sono i resti di due vecchi mulini a vento e sembrano due occhi che sonnecchiano sul golfo, come a voler tenere ogni cosa sotto controllo, chi parte e chi resta, chi vive in mare e chi a terra.
Navighiamo verso sud per costeggiare gli ultimi fiordi dell'isola di Meganisi e per fare una breve sosta sulla spiaggia più sporca di tutte, quella che ha raccolto non solo il legname sbiancato dal tempo ma anche le plastiche perdute in mare da umani troppo superficiali e indifferenti. E' un piccolo trauma, questa piccola cala, così ricolma di sporcizia e trascuratezza. Ieri abbiamo intravisto tre ragazze intente a raccogliere in grandi sacchi di plastica nera i resti della plastica colorata rigettata dal mare e dimenticata sulla spiaggia: se ognuno di noi facesse così nella sua caletta preferita, anche quella usata per un giorno o una notte soltanto, allora il mare e la terra sarebbero posti più puliti vivibili. Mauro è talmente dispiaciuto di non avere spazio a sufficienza per poter caricare a bordo tutta quella immondizia che quasi non si accorge del mio piccolo contributo alla pulizia della cala: raccolgo un cucchiaio viola per neonati ed un bicchiere arancione perfetto per le mie conchiglie.
Guardiamo da lontano le ultime propaggini di Meganisi: è incredibile la cesura netta che c'è tra i due versanti della dorsale rocciosa dell'isola, quello occidentale tutto pareti verticali a strapiombo sul mare e grotte gigantesche che hanno nascosto sottomarini greci durante l'ultima guerra, tutto morbidi declivi verdi quello orientale.
Non ce la sentiamo di pagaiare contro vento per i quattro chilometri che ci separano dalla coda della libellula e scegliamo di spiccare il volo.
Traversiamo nel punto più largo tra le due isole di Meganisi e Kalamos per goderci sia una visuale d'insieme su entrambe, vicine abbastanza da essere apprezzate nonostante la coltre di foschia, sia una navigazione d'altura di quelle da ricordare. Il vento al traverso impone correzioni continue ma fa filare i Voyager tra le onde con una tale spinta in avanti da non farci quasi avvertire la fatica. Le turbolenze si fanno più intense man mano che scendiamo verso il centro del canale e tutto intorno a noi è un fiorire di barche a vela che lasciano finalmente gonfiare quei triangoli di tessuto solitamente tenuti avvolti nei loro ripari. Il mare passa poi al giardinetto e la rotta diventa netta, con la deriva calata al punto giusto senza dover più correggere e con la pagaia che sfrutta ogni onda di passaggio, infilando la cresta della stessa collinetta d'acqua prima sul lato destro e subito dopo su quello sinistro del kayak. E' un gioco di sincronie ed incroci che ci ipnotizza per due ore filate.
All'arrivo capiamo di non poter pernottare sulla spiaggia prescelta perchè lo specchio d'acqua antistante è occupato da un allevamento ittico. Decidiamo allora di proseguire oltre il capo meridionale di Kalamos e di andare a cercare riparo dal vento in una della baia interne del canale che l'isola condivide con la vicina Kastos. Ritroviamo la spiaggia delle vespe su cui eravamo sbarcati anche nel 2009, ma per fortuna stavolta sembrano meno fameliche di quell'indimenticabile serata d'agosto. Sbarchiamo di fronte ai due mezzi mulini diroccati, dove stanno restaurando delle vecchie case coloniche costruite su un antico insediamento veneziano: la storia ci viene raccontata da due architetti americani appena scesi dallo yacth ancorato in rada proprio mentre rientrano i due ragazzi olandesi della vela attraccata al "nostro" molo. Ci chiedono di cenare con loro a bordo ma io soffro di mal di mare su qualsiasi altra imbarcazione che non sia un kayak e dobbiamo declinare l'invito.
L'aria è intrisa del profumo della mentuccia e risuona del fruscio degli ulivi: è una serata perfetta per ammirare la mezza luna che si accende in cielo.

L'ingresso della baia delle vespe a Kalamos
I nostri due panfili!
L'avvicinamento al paesino di Kalamos
Nel porticciolo di Kalamos
Le scogliere di Kastos

Sabato 3.6.2017 - 28° giorno di viaggio

Ormos Gerolimionas, Kalamos - Baia dei sogni, Kastos (20 km di cui 3 in traversata)
Vento W 4-5 nodi (F2) - mare calmo - 23°C
Ci costa fatica salutare queste due piccole isole appaiate, Kalamos e Kastos, così diverse eppure così uguali.
La prima è imponente e montuosa, con una grande parete rocciosa a nord ed una serie di calette protette a sud. La seconda è più bassa e morbida, con una costa lineare affacciata sul canale interno ed una scogliera interessante a sud.
Ancor prima dell'alba un pescatore illumina con una lampara tutta la baia e precede di poco il sole che filtra tra lo strato di foschia e a sua volta accende la baia di tutti i colori del mare e della terra. Salutiamo i due ragazzi olandesi che levano l'ancora mentre noi facciamo colazione e riceviamo la visita di quasi tutti gli altri velisti ancorati in rada, curiosi di capire come facciamo a stivare tutto nei kayak. A fatica, anche stamattina riusciamo a compiere il miracolo di infilare ogni cosa al suo posto e quando è ormai l'ora di pranzo ci decidiamo a prendere il mare.
L'unico paese di Kalamos, ad appena sei chilometri di distanza, ha anche un porticciolo turistico e negli anni le costruzioni sono aumentate in numero ma non in dimensioni e l'aspetto di villaggio metà agricolo e metà marino sembra rimasto invariato. Le poche spiagge di ciottoli bianchi sono sormontate da una serie di mulini ormai dismessi ma che conservano il loro fiero aspetto di guardiani del vento. Le terrazze di ulivi sulle vallate interne donano un tocco di colore argenteo alla gradazione scura della fitta macchia mediterranea. Le acque turchesi macchiate da praterie di posidonia sono solcate in ogni direzione da barche a vela che navigano imperterrite a motore, anche nei giorni in cui le previsioni annunciano venti forti che farebbero gonfiare persino un tovagliolo. Ma tutte o quasi queste vele prese a noleggio le ritroviamo nel porticciolo dell'isola, assiepate lungo l'unico molo in cemento dietro la diga foranea: noi sbarchiamo invece sull'unico scivolo ricavato alla radice della massicciata della luce verde, tra i pescherecci all'ancora e le reti stese ad asciugare.
Pensavamo di fare spesa e di integrare le scorte ormai magre di pane secco e sughi per il cous-cous, ma chissà quali strani orari di apertura rispettano da queste parti, perchè benchè sia solo sabato troviamo i due market sul porto sono chiusi a doppia mandata. Si preparano forse alla grande festa popolare che in questi giorni pare animare tutti i villaggi della zona. Il ristorante affacciato sul mare ha preparato un numero spropositato di tavoli, persino sulla massicciata dirimpetto al porto, con tanto di tovaglie gialle e sedie azzurre, come l'arredo interno. Noi ci accomodiamo in terrazza, a portata di vista dei nostri due kayak, che però nessuno sembra degnare di uno sguardo. Alle quattro del pomeriggio siamo ancora lì, tutti presi dallo "tzipouro time".
Riprendiamo la navigazione satolli e felici, continuando ad esplorare per un tratto ancora la costa meridionale di Kalamos, tutta uguale a se stessa, e traversando poi sulla vicina isola di Kastos, che invece ci riserva delle graditissime sorprese. La costa interna che affaccia sul canale tra le due isole, e che ricordavamo ancora dal viaggio del 2009, è bassa e anonima, punteggiata di uliveti e nient'altro, retaggio forse dell'antica dominazione veneziana, quando la Serenissima aveva indotto gli isolani a piantare centinaia di piante di ulivo perchè chiedeva il pagamento delle tasse in olio d'oliva. La costa meridionale, invece, aperta sul mare che solo molto più a sud è chiuso dalle Isole Ioniche Minori, una manciata di isolette sparse lungo la costa greca continentale, offre al visitatore una serie di interessanti conformazioni morfologiche. Il mio fratellino geologo ci avrebbe spiegato bene l'origine di queste scogliere stratificate che corrono lungo tutto il versante sud-orientale di Kastos e che ci fanno scattare decine di fotografie: sembrano tanti strati sovrapposti di una torta mille foglie, con inserti bianco panna e giallo crema che si alternano a delle inserzioni più scure, sul grigio e sul nero, che donano all'isola un aspetto insolito e del tutto diverso dalle altre.
Pagaiamo con lo sguardo sempre rivolto all'insù e quasi non ci accorgiamo di aver raggiunto il paese principale, che è anche l'unico dell'isola, nascosto in una delle baie più profonde e protetto da un piccolo porticciolo turistico in cui sono già allineate dozzine di barche a vela.
Proseguiamo alla ricerca di una baia tranquilla ed isolata, contando di scovarla in una delle ultime anse in cui si arricciola l'isola verso sud.
E non tardiamo a trovarla: è la baia dei nostri sogni, dove potremmo tranquillamente trasferirci a vivere per il resto dei nostri giorni.
E' un incanto, raccolta al fondo di un golfo che ne raccoglie altre due e che le ripara tutte dal mare grosso e dai venti forti, a giudicare dalla folta vegetazione che scende fino al mare. Le campanelle delle capre annunciano la presenza di qualche quadrupede ma di nessun'altro bipede nei paraggi. Entriamo alla chetichella, quasi avessimo paura di essere scoperti a varcare la soglia proibita: sbarchiamo al centro di una spiaggetta a mezza luna, ricolma di sporcizia vomitata dal mare che però qualcuno si è preso la briga di ammonticchiare lontano sotto un alberello. Il resto della cala è spettacolare, sia a guardarlo dal mare che da terra. Ci accampiamo e ci rilassiamo.
Sappiamo già che faremo fatica a lasciare questa baia incantata di cui non conosciamo il nome.
Dobbiamo conquistare il campo lottando contro scolopendre, zecche e vespe, ma a fine serata ci accaparriamo la postazione migliore.
Dal centro del campo ormai incolto, ma che vanta un pozzo quadrato e diversi sentieri battuti dalle capre, osserviamo incantati i colori del tramonto.
Il mare è immoto: non si sente il benchè minimo rumore, neanche quello fievole della risacca, solo il passaggio di pesciolini che sciacquettano a riva. Il cielo è coperto da una leggera foschia biancastra che rende tutto un po' ovattato, come fossimo avvolti in una garza sottile insieme a tutto il paesaggio all'intorno. L'acqua si tinge degli ultimi colori del giorno e diventa piatta come una lastra di cristallo.
Ci godiamo la nostra cala per una notte finchè le isolette di fronte non diventano prima violacee e poi bluastre.
Quanto è bello il mare di Grecia, così tanto che ci piacerebbe venisse incluso tra i beni patrimonio dell'umanità, tutto intero, dallo Ionio ai Dardanelli.

L'ingresso nella baia dei nostri sogni
La traversata prima del vento forte
Lo sbarco ad Atokos
La nostra postazione di lavoro su Atokos

Domenica 4.6.2017 - 29°giorno di viaggio
Baia dei sogni, Kastos - Cala della chiesetta, Atokos (13 km tutti in traversata)
Vento NW 12-20 nodi (F4-5) - mare da calmo a mosso - 24°C
Ci attende la traversata verso l'ultima isoletta incantata, sosta perfetta prima di giungere a Itaca!
Ore 7.00: suona la sveglia che per la prima volta puntiamo per riuscire a partire prima che si alzi il vento.
Ore 8.00: facciamo colazione sotto lo sguardo ipnotizzato di un branco di capre selvatiche, queste volta senza campanelli.
Ore 9.00: salutiamo la baia dei nostri sogni ed entriamo in un mare così calmo da sembrare irreale.
Ore 10.00: superato l'ultima capo meridionale dell'isola ci ritroviamo in traversata.
Ore 11.00: il vento di nord-ovest è in netto anticipo sulle previsioni e soffia subito a venti nodi.
Ore 12.00. continuiamo ad annaspare contro vento.
Ore 13.00: l'isola sembra vicina ma è ancora irraggiungibile.
Ore 14.00: fatichiamo fino all'ultimo metro, con una velocità impossibile che Mauro definisce "andatura da pensionati".
Ore 15.00: ci ritroviamo soli sulla spiaggia, mentre nella baia staziona una dozzina di vele.
Ore 16.00: ci prepariamo una saporita porzione di ceci e tonno, condito con l'olio d'oliva dei nostri amici Patrizia e Riccardo.
Ore 17.00: visitiamo la chiesetta, che è proprio come ci ricordavamo, ma con la bandiera tutta sfilacciata dal vento che non cala più.
Ore 18.00: guardiamo le strane manovre delle vele che lasciano la cala e che sembrano tutte sul punto di schiantarsi una sull'altra.
Ore 19.00: aggiorniamo il blog sfruttando un'incredibile connessione iper-veloce proveniente dal continente!
Ore 20.00: cuciniamo e ceniamo davanti alla tenda, e quasi ci dimentichiamo di mandare il messaggio di Spot.
Ore 21.00: dormiamo della grossa, prima ancora che faccia buio, sognando della prossima traversata.

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