SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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venerdì 9 giugno 2017

Siamo a Cefalonia!

Giovedì 8 giugno 2017 - 33° giorno di viaggio
Polis, Itaka - Kimilia, Cefalonia (13 km di cui 5 in traversata)
Vento W 10-12 nodi (F3-4) - mare da calmo a poco mosso - 25°C
Sono anni che diciamo di voler tornare a Cefalonia.
Tra tutte le isole del Mediterraneo che abbiamo sin'ora visitato è quella che più di ogni altra ci è rimasta nel cuore. Quella che ricordiamo meglio, quella a cui siamo più affezionati, quella di cui parliamo sempre molto volentieri: Cefalonia è l'isola dei ricordi migliori e dei panorami più accattivanti. Avremmo voluto tornarci prima, anche in inverno, ma poi le cose sono andate così ed abbiamo dovuto attendere otto anni.
Oggi è finalmente arrivato il momento.
Ci prepariamo a dovere. Prima con una lauta colazione sotto al pergolato della "nostra" casetta sul mare, poi con un gelato alla kantina del porticciolo di Polis, infine con una chiacchierata con Takis, il ragazzo greco che sulla spiaggia gestisce il noleggio di ombrelloni, sdraio e kayak. Con fare scanzonato prima loda i nostri Voyager, "much better than mine", e poi chiosa sul nostro viaggio: "Sono stanco solo a sentirvelo raccontare!"
Quella che ora ci aspetta è una traversata molto breve e non programmiamo nemmeno la rotta sul gps: navighiamo a vista.
Solo che prima di imbarcarci, non sappiamo come, riusciamo a perdere ancora un sacco di tempo.
E' come se stessimo cercando una scusa per rimandare ancora.
Siamo in acqua allo scoccare delle due del pomeriggio.
Traversiamo il canale tra le isole di Itaca e Cefalonia nel momento meno indicato, proprio mentre il vento rinforza, scavalca le montagne e ricade in mare con raffiche decise. Lo stretto braccio di mare, ancora calmo quando siamo usciti dal golfo, si imbianca presto di ondine irregolari che rendono divertente e bagnata la nostra pagaiata e si riempie di barche a vela indiavolate che sfreccciano imprevedibili in ogni direzione. Noi teniamo una rotta costante a 260 gradi, diretti all'isoletta di fronte, Danskalion, già ben visibile tra i frangenti sempre più frequenti, con la sua bassa scogliera bianca, la sua chiesetta pure bianca e la sua torre in pietra ormai diroccata. Quando però il vento rinforza ancora, come a volerci muovere un rimprovero per avere preso il mare con tanto ritardo, allora viriamo le nostre due prue di qualche grado e facciamo rotta più a nord, verso il paesino turistico di Fiskardo, da dove entrano ed escono tutte le barche a vela che ci ronzano intorno. E pure tutti i barchini a noleggio con le tendine parasole che raggiungono una delle spiaggetta incastonate nella spettacolare costa nord-orientale di Cefalonia: facciamo molta più fatica ad evitare le collisioni con questi piccoli cafonauti imbizzarriti che a risalire il vento contrario.
"Ogni cala ospita una casetta diroccata di antica memoria contadina, un pugno di terra rossa che arriva fino al mare e su cui i bagnanti scrivono i loro nomi con i ciottoli bianchi della spiaggia, qualche pianta di ulivo col tronco imbiancato a calce tra i muretti a secco che faticosamente resistono all'incuria e alle intemperie...". Così scrivevo sul diario di viaggio del 2007, quel 13 agosto in cui per la prima volta pagaiavo lungo la costa di Cefalonia. Ora come allora ci rapisce il fascino discreto di questo tratto incontaminato di costa, lastroni di pietra grigia che si tuffano in acque turchesi, terra rossa tra la macchia mediterranea, cipressi longilinei che arrivano a pochi metri dal mare.
E' così che ricordavamo Cefalonia, carica di colori, silenziosa ed accogliente. E' così che ritroviamo Cefalonia, identica ai nostri ricordi.
Entriamo nella baia pronunciata di Fiskardo e sbarchiamo nella spiaggetta a sud del porto, sovrastata da scavi archeologici e gremita di inglesi in vacanza. In paese ci entriamo dal mare, in kayak, per evitare la folla vociante che in estate occupa il bel borgo marinaro, l'unico paesino dell'isola rimasto intatto dopo il terribile terremoto del 1953. Non riusciamo ad evitare le barche a vela che affollano l'ingresso del porto, ma almeno non abbiamo difficoltà a sottrarci alla vitalità un po' artefatta delle botteghe di cianfrusaglie e delle taverne colorate di fresco.
Il faro di Fiskardo è lì che ci aspetta, impettito sul capo roccioso, altero nella sua struttura di pietra, slanciato ed elegante con le sue greche di marmo bianco che tanto lo distinguono dai soliti lilliput-faro che spesso si incontrano da queste parti. Sembra pronto a fronteggiare il mare aperto e a competere in bellezza col suo dirimpettaio che si scorge laggiù sul capo meridionale di Lefkada.
Risaliamo l'ultimo tratto dell'isola di Cefalonia alla ricerca di altri posti incantati.
Ci accoglie la baia di Emblisi, con le sue rocce piatte su cui eravamo sbarcati per un bagno refrigerante, e poi il capo Xeri Mounta, con la sua cresta bassa e punteggiata di omini di pietra. "Mauro, vedi che non sono la sola ad andare in giro per il Mediterraneo ad impilare pietre?" E lui: "Infatti, ce n'è molta di gente in giro che ha dei seri problemi!". Pagaiamo oltre.
Pochi chilometri ancora e non riusciamo più a resistere. La baia di Kimilia ci chiama. Sbarchiamo.
Sono appena le cinque del pomeriggio, potremmo navigare ancora un paio d'ore per raggiungere il versante occidentale di questa meravigliosa penisola verdeggiante a nord di Cefalonia. Ma la bellezza di Kimilia è impareggiabile: una piccola baia immersa nel verde della macchia con un'altrettanto piccola spiaggia di ciottoli bianchi. I due inglesi che l'hanno occupata si stanno preparando per andare via, quindi è il momento adatto per scendere a terra. E' anche il posto più indicato per sottrarsi al vento che oggi sembra non voler andare a dormire.
E' un paradiso terrestre: con tanto di serpente! Me ne sto appollaiata su un sasso, all'ombra di un ginepro coccolone, accanto a Mauro che prepara la cena. La spiaggia è chiusa da una piccola scarpata che sale fino alla boscaglia e al sentiero che in mezz'ora conduce alla strada sterrata. Sono tutta intenta a scrivere sul diario le ultime novità e sento un rumore vicino, un crepitare di foglie secche. Non mi giro subito, convinta che si tratti di una delle solite capre ritardatarie che si affrettano a raggiungere le altre. E' appena passato un pastore che con l'aiuto di quattro cani teneva dietro ad un gregge di un centinaio di esemplari, tutti rasati da poco e tutti col campanaccio al collo. Questa capra ritardataria, però, non solo non ha il campanaccio ma neanche bela alla ricerca delle compagne. Allora smetto di scrivere e mi volto. Il crepitio continua ma io guardo verso l'alto, alla ricerca di un animale che vaga nel sottobosco. Non vedo niente. Ma quando torno con lo sguardo verso la tenda, tutto il mio campo visivo è occupato dal pancione strisciante di un enorme serpente azzurrognolo che passa tranquillo sotto il mio stesso ginepro. A meno di un braccio da me. Troppo vicino per essere un estraneo. E troppo grosso per essere un serpente: sarà almeno un boa in trasferta, lungo come una mia gamba e largo più o meno uguale! Faccio un salto oltre la tenda con un urlo che non riconosco come mio. Mauro si volta a guardare la scena e pensando di tranquillizzarmi dice: "E' solo un serpente!".
Non chiudo occhio per tutta la notte!

La nostra casa per una notte a Polis su Itaca
Il faro di Fiskardo a Cefalonia
La nostra casa per una notte a Kimilia su Cefalonia
La fortezza veneziana sul promontorio di Asos

Venerdì 9 giugno 2017 - 34° giorno di viaggio
Kimilia - Asos, Cefalonia (16 km)
Vento NW 10-14 nodi (F3-4) - mare mosso - 24°C
Mi sveglio tutta rotta. Nelle ossa e nei nervi.
Non ho più l'età per sopportare questi spaventi. E neanche mi importa sapere che a Cefalonia si celebra la festa del serpente, come Mauro si affretta a raccontarmi dopo avere fatto una breve ricerca su internet. Questo angolo di paradiso non fa più per me.
Tornano gli stessi inglesi che ieri ci avevano dato il cambio. Racconto anche a loro la storia del serpente e questi sbottano a ridere: pensa che noi sono giorni che cerchiamo tracce di serpenti, senza essere mai riusciti a vederne uno, e tu in una sola sera l'hai trovato!
Andiamo via a tempo di record.
E non fa niente se le previsioni annunciano un vento in aumento in direzione contraria alla nostra rotta.
I primi tre chilometri ci portano via un'ora piena, ma abbiamo iniziato a navigare prima del solito, quindi non mi preoccupo: meglio il mare mosso dei serpenti giganti. Molto meglio queste onde irregolari e panciute, alte anche due metri, che si rincorrono fino al capo e anche oltre, che si imbiancano di frangenti ogni due per tre e che si gonfiano ogni volta che il vento si annuncia con una raffica più forte delle altre.
Passare il capo è quasi divertente. Almeno smetto di pensare ai serpenti.
E' solo acqua che sala e acqua che scende. Anche se quando sale ci crea un vuoto nello stomaco, come capita sulle montagne russe, e quando scende ci sommerge i ponti, tanto che non dobbiamo più preoccuparci di bagnare i pannelli solari. E' acqua scura perchè le nuvole corrono alte in cielo e coprono il mare di un lenzuolo nero. E' acqua fredda perchè il vento da nord non riscalda ma rinfresca ed in questa giornata coperta e grigia tutto sembra più gelido. E' acqua zampillante, anche, perchè sul capo le onde in arrivo dal mare aperto si scontrano con quelle respinte dalle scogliere rocciose: allora si formano tutto intorno al kayak dei pinnacoli liquidi simili alle guglie delle cattedrali, belli da vedere ma inquietanti da attraversare, perchè sulle prime sembrano sempre insormontabili, così alti e puntuti. Ma poi si sciolgono in pochi istanti, prima di riformarsi con un nuovo scontro di onde contrarie, ed il kayak ha il tempo sufficiente per infilarsi tra una punteruolo e l'altro.
Cerco di scattare qualche fotografia. Faccio un po' fatica, in tutto quel trambusto. Poi scorgo Mauro che, tra un'onda e l'altra, come se niente fosse, si tira su le bretelle. Questa storia delle bretelle ce la portiamo dietro da quando siamo partiti: il suo paraspruzzi è più vecchio del mio, un tantino più largo in vita e parecchio più logoro sul pozzetto. Non solo imbarca quintali d'acqua ma è anche così scivoloso che ogni tanto l'Uomo di Ferro è costretto a smettere di pagaiare per tirarselo su. E chiede a gran voce di avere delle bretelle, per favore. Che è una scena comica di per sè, vedere uno che in mare si tira su il paraspruzzi come fossero delle mutande smollate. Ma che diventa incredibile quando se le tira su mentre il mare intorno a lui ribolle talmente tanto che a volte lo nasconde completamente alla mia vista. Io sto qui seduta sulle uova per provare a scattare una foto e lui se ne sta lì tranquillo, con la pagaia poggiata sulle ginocchia, che con due mani si tira su il paraspruzzi. Potrebbe anche essere un mare in burrasca, lui si sistemerebbe il paraspruzzi con la stessa nonchalance.
Ad un certo punto però, l'acqua nel pozzetto diventa troppa. L'Uomo di Ferro allora si avvicina e mi chiede di zatterarlo. "Devo usare la pompa di sentina a mano, ho imbarcato talmente tanta acqua che su ogni onda sbando". Allora vuole dire che anche lui è umano. Lo affianco e lo aiuto a svuotare. Solo che prima dobbiamo ritirare le derive e metterci con le prue all'onda, per evitare di imbarcare altra acqua proprio mentre cerchiamo di pompare fuori quella che è entrata. Il tempo di usare una decina di volte la pompa e le onde ci fanno virare di 90°, mettendoci di traverso e rendendoci più instabili. Ma abbiamo finito e possiamo riprendere a pagaiare ognuno per sé.
E' la prima giornata di mare grosso e di navigazione impegnativa: ce la stiamo godendo tutta!
Poi all'improvviso per un momento sento crescere la paura.
E se il mare diventasse più mosso? E se le onde aumentassero ancora? E se quelle spade d'acqua ci infilzassero?
Non faccio in tempo a pensare a nessuna risposta plausibile che un cavallone azzanna la poppa del mio kayak con un ruggito di drago.
Allora mi lascio inseguire dalle onde, prendo la spinta da ogni ruggito e mi metto a respirare il respiro il mare.
Perchè il mare è un elemento vivo, vitale e vivace, pulsante e pungente. E' talmente carico di energia che ne trasmette un po' a chi lo vive. E' così immenso nel suo movimento che ne regala un po' a chi lo avvicina. E anche se sale un poco la paura, per il rispetto che sempre si deve portare al mare, cresce anche l'entusiasmo e l'eccitazione di trovarsi abbracciati da un così vasto fluido blu.
Ogni tanto il cielo si apre e filtra un raggio di sole tra le nuvole bianche che corrono sempre più veloci, perchè i venti in quota sembrano essere sempre più forti. Quello spiraglio, però, accende il mare di un colore turchese che non solo regala speranza ma pare anche spianare le onde più grosse. Quando la luce illumina il mare, tutto sembra più calmo e tranquillo. E anche la pagaiata riprende vigore.
In un attimo siamo alla spiaggia lunga e chiara di Agios Ierousalim, sei chilometri oltre il capo, un attimo dopo siamo al capo successivo, altri tre chilometri più a sud, e un attimo dopo ancora si delinea nella foschia il promontorio alto e tozzo di Asos. Avremmo potuto fare una sosta, riprendere fiato, sbarcare per qualche minuto. Ma il mare ci tiene legati a sè ed incuranti della fatica e della fame ce ne andiamo diretti verso il paesino di Asos.
Ora si vedono le casine giallognole, poco dopo si riconoscono le finestrelle ravvicinate, ecco che si distinguono alcune piante.
Siamo a ridosso del monte quando vediamo anche le mura della fortezza che occupa la sommità.
In pochi minuti siamo a terra. Un'ora dopo in taverna.
E quando scendi in spiaggia e butti un occhio al mare, sembra che là fuori non ci sia niente...

1 commento :

  1. Che bello! Che belle foto! Quanto vi vogliamo bene per il viaggio che ci fate fare! ... vabbè virtualmente ma emozionante lo stesso!

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