Akrotiri Tripiti - Paralia Lechena (20 km)
Vento NW 10-12 nodi (F4) - mare poco mosso - 26°C
Siamo impazienti di iniziare il periplo del Peloponneso.
E' una regione per noi sconosciuta e ne sappiamo qualcosa solo per sentito dire, da chi prima di noi l'ha circumnavigata in kayak.
Dopo chi ha impiegato appena 19 giorni o 3 settimane, oppure un mese in inverno in solitaria, noi ci siamo riproposti di battere ogni record e di metterci più di due mesi. Siamo gli unici ad usare la pagaia groenlandese, e già questa potrebbe essere una menzione particolare, ma soprattutto siamo i più vecchi, e quindi gioco forza anche i più lenti... E sopra ogni altra cosa siamo intenzionati a fermarci in quante più taverne possibili!
Cominciamo questo nuovo viaggio nel viaggio con una sveglia lenta delle nostre, solo quando comincia a fare troppo caldo per poter continuare a poltrire in tenda. Una volta fuori, continuiamo a prendercela comoda perchè sembra di essere entrati in un'altra dimensione: una nebbia fitta ed avvolgente nasconde ogni cosa, l'isola di Zante ormai lontana ma anche il paesino vicino che è davvero a due passi da noi. E' la prima volta che ci capita di svegliarci avvolti dalla nebbia e se non sapessimo che è un fenomeno naturale ed innocuo ci sarebbe quasi da avere timore di tutto questo biancore spesso ed opprimente che fa scomparire il mare, la battigia e anche la sabbia. Poco più in là della nostra tenda non c'è più niente di quel che ieri sera eravamo sicuri di avere visto, nè le rocce che chiudono la baia, nè i gigli che ricoprono la duna, nè gli ombrelloni che punteggiano la spiaggia, ora non c'è altro che nebbia impenetrabile che tutto cancella ed annulla.
In mezzo a questo mattino ovattato, silenzioso e vuoto, il caldo diventa subito asfissiante e quasi non possiamo muoverci per evitare l'essiccazione da eccessiva sudorazione. Stiamo boccheggiando da troppo tempo quando finalmente si alza un leggero venticello refrigerante che pian piano pulisce ogni cosa nel cielo e sulla terra. Possiamo riprendere a vivere e a navigare.
Il mondo è tornato a splendere e l'acqua è di un colore brillante che ricorda quello delle piscine artificiali, quelle rivestite di un mosaico di mattonelle dei colori del mare, solo che qui, lungo la costa nord-occidentale del Peloponneso, il mare non ha confini e le dimensioni di questa vasca cristallina e trasparente sono pressochè infinite. Io sono ammaliata da queste tonalità intense ed insolite, vorrei restare qui a pagaiare avanti e indietro per tutto il giorno, guardando solo verso il fondo dove si distinguono i ripples della sabbia anche a profondità che si intuiscono notevoli, visto che la pagaia non arriva a sfiorare neanche una di quelle regolari e continue collinette sottomarine. Mauro invece sin da subito non ne può più, perchè sostiene che è avvilente avere lasciato l'acqua cristallina di Zante per ritrovarsi in quest'acqua verde-stagno. Per giunta piena di meduse. Ce ne sono ovunque, ogni mezza pagaiata se ne contano due o tre, tutte con il loro gonnellino corto violaceo, i tentacoli lunghi e corposi e le grandi cappelle trasparente così morbide e gelatinose che toccarle è un piacere raro. Le meduse di questa specie, le Rhizostoma pulmo, non sono urticanti e solo la parte terminale dell'ampia cappella può provocare qualche leggera irritazione cutanea. Sono per me tra le meduse più belle ed affascinanti, così semplici nella loro delicata trasparenza e così fragili nella loro molle inconsistenza. In queste immense piscine naturali ce ne sono a centinaia, di ogni dimensione. Deve essere proprio il paradiso delle tartarughe marine, che di meduse sono ghiotte.
Sulle spiagge di sabbia fine si distinguono altri nidi di tartaruga e ad un tratto le dune diventano alte e belle, anche se soffocate da troppi alberghi di lusso che seminano all'intorno varie casette e casupole come tentacoli di una piovra vorace ed avida. Ci rintaniamo per una breve sosta all'ombra di una spiaggetta anonima, sgranocchiamo due barrette di sesamo al miele e recuperiamo un po' di energie.
Dopo qualche altra lenta pagaiata siamo in prossimità dell'isolotto di Kavkalidha, che con la sua slanciata torre-faro, una bella struttura a base quadrata in mattoni scuri con greche laterali di marmo bianco, preannuncia il porto di Killini, protetto da un ammasso indistinto di strani frangiflutti forati che fanno risuonare il mare come nelle canne di un organo enorme. Superiamo l'ampio ingresso del porto che collega il Peloponneso con le isole di Zante e di Cefalonia, passiamo anche quattro grandi boe d'ormeggio poste poco più al largo ed evitiamo una serie di scogli affioranti in cui perdo una delle mie amate lenze da pesca, ritirata con troppo ritardo e rimasta incagliata chissà dove tra quelle rocce semi-sommerse.
Ci mettiamo in cerca del nostro campo per la notte e lo troviamo sotto le tamerici di una spiaggia dalla sabbia un po' argillosa, davanti ad una serie di villette con piscina ancora chiuse ma popolate di corpulenti ragni gialli a righe nere, che hanno tessuto centinaia di tele tra bei fiori gialli e rossi.
Ceniamo in tenda, da soli, dopo chissà quanti giorni in taverna!
Il campo ad Akrotiri Tripiti quando la nebbia s'è diradata... |
Il bel faro dell'isolotto di Kavkadilha |
La costa nord-occidentale del Peloponneso |
I frangiflutti del porto di Killini |
Il campo sulla spiaggia di Lechena |
Mercoledì 28 giugno 2017 - 53° giorno di viaggio
Paralia Lechena - Akrotiri Kounoupeli (26 km)
Vento NW 10-12 nodi (F4) - mare poco mosso - 29°C
L'ombra delle tamerici ci fa dormire un po' di più, ma non ancora per quanto vorremmo.
Di solito siamo molto lenti, specie in mattine così nebbiose come quella odierna, anche se questa leggera foschia che si appoggia sul mare non è niente in confronto alla nebbia fitta che ieri ha fatto scomparire il mondo attorno a noi. Diventiamo ancora più lenti quando c'è un po' d'ombra che ci fa fare colazione davanti al mare e ci fa iniziare la giornata senza alcuna fretta: la lentezza è la vera costante ed il vero spirito di questo nostro viaggio intorno al Peloponneso.
Siamo così rilassati e tranquilli che osserviamo per delle lunghe mezz'ore il via vai di traghetti che entrano ed escono dal porto di Killini: ci sono tre diverse compagnia, la gialla, la rossa e la blu, che partono in maniera alternata per l'isola di Zante nascosta dietro il promontorio e per la più visibile isola di Cefalonia, le cui montagne fanno capolino sul mare ancora velato.
Risaliamo verso nord lungo una costa bassa ed anonima, caratterizzata da una spiaggia corta e sporca che nessun si prende la responsabilità di pulire dalle plastiche rigettate dal mare, punteggiata di poche case sparse che sembrano abbandonate, di un porto nuovo e grande che ospita tanti pescherecci quante sono le casupole irregolari cresciute all'intorno e poi anche di un lago costiero che sembra non terminare mai.
Finalmente la costa migliora il suo aspetto e offre alla nostra vista dieci chilometri di dune sormontate da pini comuni che è un piacere osservare pagaiando a pochi metri dalla riva sabbiosa. In mare tornano le meduse e l'acqua risplende di nuovo di un colore verde smeraldo in cui navighiamo come in un sogno. Superiamo in un baleno un piccolo promontorio roccioso sormontato da una chiesetta e dalle rovine di un castello e ci troviamo proiettati in un luogo senza tempo: c'è un piccolo porto naturale in cui hanno gettato l'ancora una decina di pescherecci, c'è una vecchia serie di case di ringhiera che forse erano le casette dei pescatori e c'è poi una serie di tende nascoste sotto la boscaglia ed organizzate come piccole villette per le vacanze, con tanto di docce calde e cucinotto esterno.
Sembra il posto ideale per montare il nostro campo: scegliamo una "piazzola" tra i pini ed in pochi minuti siamo pronti per cenare e dormire.
Il campo nella pineta di Akrotiri Kounoupeli |
Il lilliputh-faro di Akrotiri Araxos |
Nel golfo di Patrasso |
Il campo accanto alla kantina di Akrotiri Mavri Myti |
Le stratificazioni di Akrotiri Mavri Myti |
Giovedì 29 giugno 2017 - 54° giorno di viaggio
Akrotiri Kounoupeli - Akrotiri Mavri Myti (23 km)
Vento NW 5-6 nodi (F2) - mare quasi calmo - 28°C
Finalmente dormiamo al fresco per oltre dieci ore filate.
L'ombra dei pini è ampia e durevole fino al mattino inoltrato e noi possiamo prendercela ancora più comoda di ieri.
Il vicino di tenda è già al terzo bagno rinfrescante quando si accorge che noi ci stiamo preparando a partire: senza troppi convenevoli si avvicina e ci offre una bottiglia di acqua fresca, che noi accettiamo di buon grado e scoliamo ancora prima di imbarcarci. "Tra abusivi ci si intende", bofonchia Mauro quando siamo pronti a partire, tra grandi saluti col vicino in ammollo e altri vicini che si accodano al suo Kalo taxidi - Buon viaggio in greco.
I primi tre chilometri di costa sono spettacolari, con la sabbia chiara incoronata da una duna imponente ricoperta di una vegetazione lussureggiante: fosse per me sbarcherei dopo appena 600 metri, sotto quel pino maestoso che spicca sugli altri coi suoi rami frondosi e la sua ombra larga.
Invece proseguiamo, ovviamente, e raggiungiamo l'altissima duna che separa la spiaggia di sabbia rossa da un lago salato costiero lungo il quale hanno costruito una serie di villette basse che per fortuna si nascondono tra la macchia. Con poche altre pagaiate superiamo le due spiagge incastonate sul promontorio roccioso, la più meridionale raggiungibile solo dal mare e per questo vissuta da un solo unico e solitario bagnante, la più settentrionale invece occupata da decine di auto colorate che hanno posteggiato a pochi metri dagli ombrelloni di paglia.
Avvistiamo il faro di Akrotiri Araxos, il punto nord-occidentale del Peloponneso, e volendocela prendere comoda, pensiamo di poter trovare un campo adatto tra la macchia bassa e compatta per poter approfittare ancora della solitudine di questo tratto di costa e del tramonto sull'isola di Cefalonia. Invece, la lunga lingua di sabbia che circonda un altro lago costiero è troppo bassa per proteggerci dal vento, che per quanto leggero e gentile si fa sentire fino a tarda sera. Scegliamo allora di superare il lilliputh-faro installato su uno dei soliti tralicci di ferro dipinti di bianco e restiamo un po' stupiti dal contorno delle costa riportato nei nostri due gps, completamente differente dalla realtà, tanto che in alcuni punti per il navigatore stiamo pagaiando sulla terraferma, mentre noi siamo ben al largo del basso fondale che circonda tutto il capo. Con molta probabilità, questa costa ha un profilo variabile e condizionato dalle correnti che interessano lo stretto che chiude ad ovest il golfo di Patrasso e la spiaggia prende di volta in volta una conformazione differente.
Proseguiamo oltre la costa incoronata da una serie di pennoni che sembrano quelli di una stazione meteorologica e anche oltre il promontorio sormontato da due ripetitori per le telecomunicazioni: non ci sono spiagge abbastanza profonde da accogliere i nostri due kayak nè alberelli sotto cui montare la nostra tenda. Durante questa ricerca, riflettiamo sul fatto che le nostre esigenze sono cambiate sensibilmente nel corso di questo viaggio: all'inizio, quando era ancora la fine di maggio, cercavamo una posizione esposta al sole, così da poter subito ricevere i suoi primi caldi raggi sin dal mattino, adesso invece che il caldo comincia a mordere cerchiamo una sistemazione il più possibile ombreggiata, così da riuscire a sopportare le prime ore del giorno a temperature ancora ragionevoli.
Dobbiamo spingerci fino ad un piccolo stabilimento balneare che manda musica troppo forte ma davanti al quale fanno il bagno quattro simpatiche signore greche che al nostro passaggio esclamano in coro: "Ohhh, barculino!"
Appena oltre c'è una spiaggia attrezzata con la kantina ancora chiusa benchè la stagione estiva sia ormai inoltrata.
Sbarchiamo accanto alla fila di ombrelloni di paglia e ci concediamo una cena frugale senza cucinare: restiamo a goderci la calma del mare che a quest'ora è piatto come uno specchio e che in questo punto è chiuso su ogni lato da terre emerse come un grande lago interno. I ciottolini policromi che si spargono sulla spiaggia rossa della battigia sono smossi di tanto in tanto da un treno d'onde provocato dal passaggio di un traghetto, per il resto il silenzio è tale che non si avverte neanche il minimo suono di risacca.
E' la spiaggia dei fuoristrada parcheggiati in riva al mare: ce ne sono almeno una decina e l'ultimo che arriva si spinge sempre un poco più avanti del precedente. Ad un certo punto temiamo che quello verde scuro vada fino in acqua: capiamo subito che la manovra non è azzardata ma voluta, e talmente frequente da essere diventata naturale, ed in fondo del tutto giustificata, l'unico fuoristrada ad avere il diritto di lasciare il segno del suo passaggio fin quasi sulla riva. Scende un'allegra famigliola con nonno e nonna, due genitori e due figlioletti gemelli: il padre è paraplegico e viene spinto in acqua sulla sedia a rotelle per un lungo bagno ristoratore insieme a tutti gli altri, non solo i componenti delle famiglia ma anche molti degli altri bagnanti già in ammollo da tempo. Sembra che qui si conoscano tutti o che i tempi di fruizione del mare di casa li abbia fatti diventare amici: molti arrivano che è quasi l'ora del tramonto e restano a godersi il mare caldo e calmo finchè c'è luce. I bambini giocano tra loro e le mamme li imboccano con frutta fresca ed acini d'uva nera. E' un modo molto spontaneo e conviviale di vivere il mare, forse dopo una lunga giornata di lavoro trascorsa nei campi, a giudicare dal tipo di abbronzatura di alcuni di loro, oppure a curare il gregge di pecore e capre, a sentire lo scampanellio continuo che sembra avvicinarsi alla spiaggia ogni minuto di più.
Quando il sole tramonta dietro le tamerici, tutti scompaiono e noi diventiamo i padroni della spiaggia.
Le trasparenze del golfo di Patrasso |
Gli accessi improbabili al mare... |
Gabbiani |
Un'altra collezione fotografica delle mie... |
Lunga sosta nella taverna sul mare di Kaminia |
Venerdì 30 giugno 2017 - 55° giorno di viaggio
Akrotiri Mavri Myti - Kaminia (15 km)
Vento NW 3-5 nodi (F2) - mare quasi calmo - 28°C
La sveglia è all'alba.
Arrivano i tre operai che lavorano di buona lena per terminare i lavori di allestimento della kantina sulla spiaggia.
Noi abbiamo sfruttato la sua tettoia di paglia per l'ombra ed il suo tavolato per il perfetto piano d'appoggio: loro scendono dal fuoristrada e notano subito la tenda, non sbattono le portiere e parlano sottovoce. Quando iniziano a martellare lo fanno quasi in silenzio, come intimiditi dalla nostra presenza. Mauro si sveglia per primo e si affaccia fuori dalla tenda: "Kalimera, kalimera". Il capo-mastro si avvicina e ci scusa del rumore: "Sorry, but this is the job". Ed è anche l'ora giusta per mettersi al lavoro, quando il sole non è ancora sorto da dietro i monti dell'altro versante del golfo e l'aria è ancora così fresca da farci tenere le magliette indosso. Smontiamo per lasciare campo libero agli operai.
Non ci siamo mai imbarcati così presto.
Tutta la costa corre bassa e sabbiosa, con troppe case costruite fin sul mare, che viste dal mare sono una tristezza, con tutti quei muretti finiti in acqua, mangiati e sbriciolati dalla potenza dei marosi. Per un breve tratto la costa si alza e la scogliera di arenaria offre qualche appiglio a radi alberelli di tamerici che però nulla possono contro l'aggressività dell'uomo, che continua a costruire anche dove la terra frana e che cerca sbocchi al mare anche dove non sarebbe possibile raggiungerlo.
Sappiamo di dover portare pazienza, che tutta la costa fino a Patrasso è molto antropizzata e rovinata, che le ville cedono il passo ai ristoranti e questi agli stabilimenti balneari e che è tutto un susseguirsi di costruzioni alte e basse che arrivano a mangiare il mare.
Costeggiamo alla ricerca di un punto di sbarco, oggi siamo intenzionati a fare una tappa più breve del solito.
Fa più caldo del solito, almeno nel cuore di questo ampio golfo di acqua immobile dove non arriva neanche il più flebile soffio di vento. Anche l'acqua è più calda del solito, con una temperatura che cresce man mano che ci spingiamo all'interno del golfo.
Se ci fermiamo da queste parti, domani possiamo superare il porto di Patrasso e cercare un campo oltre la città più animata e trafficata della zona. C'è una kantina abbandonata con un'ampia tettoia in legno ma la spiaggia antistante è troppo stretta per i nostri kayak; c'è una spiaggia attrezzata con ombrelloni, lettini e docce d'acqua dolce ma la musica è troppo alta per i nostri gusti; c'è poi un piccolo porticciolo dove non si vede nessuna barca attraccata, forse si è insabbiato ed è stato abbandonato ma non vogliamo restare così lontani dalla civiltà perchè abbiamo bisogno di rifornirci di acqua e di pane secco e frutta fresca. Insomma, cerchiamo un mix di condizioni forse impossibile da realizzare ma noi siamo i soliti sognatori ottimisti e non smettiamo di sperare.
Per qualche momento, stanchi di guardare la terra alla nostra destra, ci concentriamo sul mare alla nostra sinistra: scopriamo che l'acqua è più torbida rispetto a ieri ma ancora pulita per essere nel cuore del golfo di Patrasso, uno dei più trafficati della Grecia; scrutiamo sul basso fondale alla ricerca di nuovi tesori, dopo la schiera di ricci di mare abbarbicati sugli scogli affioranti e dopo un letto di alghe giallognole che sembrano tanti fiorellini poggiati sul fondo del mare; scorgiamo anche un folto gruppo di sterne artiche che pescano nell'acqua bassa e subito riparliamo tra noi del bel documentario "Il popolo migratore", grazie al quale abbiamo scoperto che questi piccoli uccelli migratori volano ogni anno dal Polo Nord al Polo Sud e viceversa, per due volte all'anno, girando intorno al globo per tutta la loro vita.
Dopo qualche chilometro, più di quelli che avevamo messo in conto, troviamo finalmente il posto giusto: una taverna affacciata sul mare, un po' d'ombra sotto un bell'esemplare di eucaliptus e una spiaggia di ciottolini policromi sulla quale i nostri kayak possono riposare tranquilli.
Saliamo la scaletta imbiancata della taverna e guardiamo il mare per il resto della giornata.