SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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lunedì 8 maggio 2017

Partenza bagnata, partenza fortunata

Domenica 7 maggio 2017 - 1° giorno di viaggio
Igoumenitza - Ormos Valtou, Grecia (15 km)
Vento SW 8-10 nodi (F3) - mare poco mosso - 18-20°C
Il nostro attico è molto ambito e fin troppo frequentato: da' accesso alla terrazza panoramica del traghetto ed è tutto un via vai di comitive di ragazzini, coppie con e senza bambini in gita turistica e fumatori incalliti in cerca di uno spazio all'aperto. Risultato: una notte insonne. Le luci non si spengono mai, il nostro angolino diventa prima freddo e poi caldissimo e alle quattro e mezzo del mattino gli altoparlanti annunciano a gran voce l'ingresso della nave nel porto di Igoumenitza. Non vediamo l'ora di scendere. Per restare un po' da soli!
I traghetti greci sono i nostri preferiti: sempre puliti, ben tenuti ed organizzati. E puntuali. Questo è carico di tir diretti in Turchia e l'autista del pulman turistico davanti al quale ci hanno fatto sistemare i nostri due kayak ci usa l'accortezza di spostarli prima di iniziare le manovre di sbarco. La banchina si riempie di ruote enormi e di gas di scarico per una ventina di minuti, poi tutto torna silenzioso. Il traghetto riparte e noi restiamo soli.
L'unico bar aperto della città è quello delle partenze internazionali nella stazione portuale: impieghiamo circa un'ora per raggiungere il nostro primo caffè frappè, il tipico caffè greco shakerato, zuccherato e ghiacciato che da mesi sognavamo di tornare a sorseggiare, e poi un'altra ora abbondante per raggiungere il nostro punto di imbarco, distante quasi due chilometri dal porto.
Ha piovuto solo mentre eravamo seduti al bar, due scrosci d'acqua così potenti da farci temere di rimanere bloccati per chissà quanto tempo. Invece il sole ha fatto subito capolino tra le belle nuvole gonfie e bianche e ci ha fatto sudare sette camicie per portare i kayak a destinazione. La piccola spiaggia che Mauro aveva individuato nella fase di preparazione del viaggio, usando le immagini satellitari della costa, è stata nel frattempo fagocitata dal cantiere di ampliamento del porto: non c'è nessuno ed entriamo alla chetichella, nella speranza di raggiungere il mare prima di essere sorpresi, ma appena superata la cancellata aperta il guardiano ci viene incontro con fare deciso e ci spiega che non si può transitare per ragioni di sicurezza. Ci fa segno di raggiungere il punto più lontano, seguendo una strada di brecciolino su cui le ruote dei nostri carrellini sprofondano ad ogni passo, ma almeno non è in salita, come la strada asfaltata che corre più alta lungo la costa.
Appena oltre il cantiere troviamo un punto che sembra meno problematico degli altri: il bordo digrada irregolare verso il mare ma il fondale non scende subito a profondità abissali. Poggiamo due tronchi tra i massi per allestire una sorta di scivolo di alaggio e ci mettiamo subito all'opera: dopo tre ore tiriamo fuori la testa dai gavoni, soddisfatti di aver compiuto ancora una volta il solito incredibile miracolo di riuscire a far entrare in kayak tutto quello che ci siamo portati in viaggio!
Subito fuori i blocchi di cemento armato che delimitano in mare la zona del cantiere portuale, veniamo attaccati da un pescione gigante che inizia a prendere a testate prima la poppa di Mauro e poi la mia, con una rabbia che non solo fa ribollire l'acqua di spruzzi e vortici inquietanti ma che ci costringe anche ad aumentare subito l'andatura come fossimo impegnati in una gara di velocità.
Non abbiamo neanche il tempo di ambientarci che ci tocca subito correre e sudare!
Abbiamo anche il vento contro: si alza appena lasciamo il paese anonimo ed irregolare di Igoumenitza e ci dirigiamo verso l'imboccatura dell'ampio golfo prospiciente. E' soltanto una brezza tesa che contrasta appena la nostra avanzata, perchè sebbene il vento oggi soffi da sud ovest, nella baia interna deve seguire delle direzioni differenti, quelle solitamente dettate dalla legge di Murphy del kayak da mare, seconda la quale il vento spira sempre in direzione ostinata e contraria.
Ci concediamo una breve sosta sulla lingua di sabbia che chiude a nord l'ingresso del golfo, giusto il tempo di raccogliere lo scheletro verde di un riccio di mare e di fotografare qualche prezioso ritrovamento: è la spiaggia delle ossa di seppia sbiancate dal sole, delle vongole rigate coi due gusci ancora accoppiati e degli sconcigli incrostati di concrezioni coralline molto articolate. Un piccolo angolo di paradiso per me e per le mie smanie di collezionismo.
Il caldo inizia a farsi sentire: in questa ansa ridossata il sole ci invita a spogliarci, a fare quattro passi a piedi nudi sulla battigia e persino ad entrare in acqua fino al ginocchio. Non se ne parla proprio di indossare nuovamente pantaloni semi-stagni e giacca d'acqua a maniche lunghe, fa troppo caldo e si cambia abbigliamento: calzoncini corti e maglietta a maniche corte. Sembra una giornata estiva, le temperature crescono insieme al sole in cielo, ma già prevediamo una navigazione bagnata: si impone comunque la giacca d'acqua leggera.
Oltre le due boe gialle che segnalano alcune secche pericolose e le quattro coppie di boe verdi e rosse che delimitano il canale navigabile, là fuori, nel braccio di mare aperto tra la costa greca e la lontana isola di Corfù, confusa all'orizzonte tra le nuvole basse e grigie, le onde stanno crescendo a vista d'occhio, e non soltanto per il continuo andirivieni di traghetti di ogni stazza e dimensione. La brezza si è tramutata in vento, un bel vento al traverso che imbianca la superficie e che ci accompagna lungo il nostro primo tratto di costa.
E' sempre la stessa storia: speriamo di iniziare il viaggio in maniera tranquilla, prendendocela comoda per avere tutto il tempo di ambientarci e di riprendere confidenza col mare, col vento e col kayak (che quando è carico di tutta l'attrezzatura per il campeggio nautico si comporta in modo diverso rispetto alle "classiche" uscite domenicali) e invece niente, succede sempre che all'inizio di ogni viaggio ci tocca faticare!
Non appena raggiungiamo il doppio golfo interno a nord della città, decidiamo di cercare un luogo adatto per accamparci: vogliamo sbarcare presto per goderci il pomeriggio caldo, per asciugare l'attrezzatura al sole e per riprenderci dalla notte insonne.
E invece niente: ci tocca mettere mano al kit di riparazione. Il primo giorno di viaggio: mai successo prima!
Il gavone di poppa del Voyager di Mauro è pieno d'acqua! Completamente allagato, fin quasi alla linea di galleggiamento! Mai vista prima una cosa del genere!
Saranno state le capocciate del pesce assassino del porto oppure una botta presa dalla poppa durante il trasferimento dalla banchina alla massicciata dell'imbarco, oppure chissà cos'altro: il tubetto di guida della deriva è saltato e ha fatto entrare nel gavone quasi mezzo Mar Mediterraneo!
E' tutto bagnato: il telo esterno della tenda, la cucina da campo, la confezione di pasticche e tutte le altre cose che non abbiamo riposto in sacche stagne, come le varie dosi di riso, cous-cous e sughi che viaggiano sempre liberi nel terzo vagone. Sono bagnate anche tutte le sacche stagne, che non reggono quasi mai la pressione di così tanta acqua nel gavone. Dobbiamo aprirle tutte per controllare in che condizioni è il contenuto e dobbiamo aprire anche tutte le varie sacchette di plastica in cui abbiamo preso l'abitudine di riporre le nostre mille dotazioni di bordo, per sincerarci che l'acqua di mare non si sia infiltrata nei posti più impensati.
E così, niente da fare: niente riposo! Ci tocca continuare a faticare: tirare fuori ogni cosa, far gocciolare l'acqua, asciugare tutto per bene e poi stendere al sole. Tre ore di lavoro: un primo giorno di vacanza tutto da ricordare!


Lunedì 8 maggio 2017 - 2° giorno di viaggio
Ormos Valtou - Nea Selefkia, Grecia (15 km)
Vento NW 8-10 nodi (F3) - mare poco mosso - 20°C
Alle nove di sera siamo entrati in tenda, alquanto provati dalla partenza bagnata che ha segnato questo viaggio.
Alle nove di mattina siamo ancora in tenda, coccolati dalle ondine che frangono dolcemente sulla battigia.
Il secondo giorno di viaggio sembra iniziare sotto una nuova stella: il sole splende alto in cielo sin dalle prime ore e ci accompagna per l'intera mattinata. I rondoni scuri, le garzette bianche e le sterne artiche sorvolano il nostro campo, attrezzato all'ombra di un vecchio peschereccio abbandonato e ormai quasi del tutto distrutto dalla intemperie. Due pescatori lavorano nella laguna retrostante muovendosi su una specie di barcè, usando prima una lunga pertica per calare le reti e poi un piccolo motore per spostarsi e spaventare i pesci battendo la pertica sulla superficie dell'acqua. Il nostro vicino è da ore intento ai lavori di manutenzione del pontile galleggiante che tra qualche settimana completerà lo stabilimento balneare, già corredato di ombrelloni e sdraio, ma anche di giochi d'acqua gonfiabili, tutti accatastati sotto il capanno di paglia costruito sulla battigia a pochi metri dal relitto.
Impieghiamo la bellezza di cinque ore per ricomporre il kayak di Mauro ma la riparazione è degna di nota: lavato con acqua dolce e asciugato a dovere l'innesto da riparare, l'Uomo di Ferro prima fissa il tubetto della deriva con una goccia di Attack, aspetta che prenda e ne versa un'altra, fino ad essere sicuro che il tubetto non uscirà più dalla sua guida, e per sicurezza ci passa attorno uno strato di stucco epossidico bicomponente. Poi pronuncia a mezza voce la sua formula magica segreta che usa sia per rinforzare l'effetto del catalizzatore che per scongiurare altri eventuali ed imprevisti interventi di riparazione nautica.
La prima colazione è alquanto speciale: banane fresche accompagnate da bucce d'arancia caramellate, preparate durante l'invernata casalinga, e da una porzione abbondante di fruttini di mele cotogne fatti in casa dal Mammut. Ben altra cosa rispetto alla misera cena di ieri sera: il pane carasau ammollato dall'acqua di mare filtrata nel gavone e qualche manciata di frutta secca dal vago retrogusto salmastro (alla fin fine le uniche due "perdite" subite nello scampato naufragio della nostra ammiraglia!)
Se non fosse per quell'immenso allevamento ittico sull'altro versante, da cui arrivano i colori sgargianti delle reti rosse poste a protezione delle vasche ed i rumori soffusi dei motori usati per spargere il mangime, questo luogo rimarrebbe calato nel silenzio e nella pace per l'intera giornata, visitato di tanto in tanto solo da qualche gabbiano reale, che però gracchia un paio di volte soltanto, forse per allontanare i cinque cormorani neri che volano in formazione proprio verso il centro della baia.
Siamo tentati di restare. Ma leviamo le tende: sappiamo che il viaggio ci riserverà delle altre sorprese.
Appena fuori dalla baia, ritroviamo i traghetti che incrociano al largo, meno numerosi di ieri perchè oggi non è un giorno festivo, ma certo puzzolenti come e più di ieri, visto che il vento continua a portarci l'odore acre dei loro motori. La costa oggi corre bassa e sabbiosa per un lungo tratto, perchè proprio oltre la stretta striscia di spiaggia si susseguono diverse lagune interne e molte saline probabilmente abbandonate. Ad un certo punto, secondo il gps ne stiamo attraversando una, mentre noi stiamo tagliano di netto la foce di un canale, disseminata di scogli affioranti e di vecchi pontili utilizzati per chissà quale scopo. All'intorno si scorgono solo un paio di casupole di legno dei pescatori locali e una lunga fila di uccellini limicoli che beccano il fondale con le zampette appena in acqua: fanno la loro comparsa anche tre beccacce di mare, con quel loro becco lungo e arancione che le rende così visibili e buffe. Poi è la volta di alcuni aironi cinerini che si spostano tra i pochi alberi sorti in riva al mare, di cinque coppie di cigni che volano sopra di noi e planano in perfetta sincronia pochi metri oltre i nostri kayak e di una folta schiera di sterne artiche che scendono in picchiata per pescare come tante frecce lanciate giù dal cielo.
La vera sorpresa ce la riserva il tempo: appena doppiamo il primo capo il vento rinforza nella direzione esattamente contraria alla nostra rotta. Come ieri le ondine si ricoprono di una crestina bianca e qualche spruzzo raggiunge i nostri ponti anteriori. E poi anche noi. Siamo contenti di pagaiare contro vento solo perchè ci piace l'idea che, se il nord-ovest è davvero il vento dominante di questa zona, allora dovrebbe accompagnarci anche nei giorni in cui navigheremo verso sud, sempre che la legge di Murphy del kayak da mare non ci metta lo zampino.
Poi di sorpresa ne arriva anche un'altra: alla foce di un fiume più grande degli altri si apre un'ampia zona di bassi fondali, acqua color cioccolata e tronchi incagliati qua e là: sembra un luogo un po' magico e un po' tetro, non ci siamo mai trovati a pagaiare in un posto del genere, dove ogni volta la pagaia tocca il fondo ondulato e talvolta risale nera di melma maleodorante e dove ora imperversano piccole onde frangenti, dispettose e frenetiche, che riescono a frenare la nostra già stanca andatura fin quando sullo schermo del gps compare l'allarmante e disarmante numero critico della velocità di crociera 0.0!
Ci portiamo al largo, facendo la gimcana tra gli ultimi tronchi sbiancati dal vento, dal sale e dal sole e finalmente ritroviamo un'acqua color cinerino che ci fa ben sperare di uscire dalle secche e di raggiungere presto una costa più adatta allo sbarco e alla sosta. La troviamo alle porte di una cittadina di cui ignoriamo il nome, con un porticciolo da un lato ed uno spiazzo attrezzato dall'altro: si intravede una coppia di casette in legno, una sorta di pergolato, alcuni bagni pubblici ormai in disuso, delle cabine e anche alcune panchine. E' il posto adatto.
Nello sbarco mi si riempie il pozzetto di troppa acqua perchè non riesco a schivare l'ultima onda impertinente della serata ma Mauro attrezza i due rulli di alaggio che aveva approntato per il viaggio e con grande soddisfazione di entrambi i kayak risalgono la corta ma ripida spiaggetta senza farci fare la benchè minima fatica. Una volta sulla strada sterrata, i rulli vengono degnamente sostituiti dal carrellino di Mauro, che traghetta i Voyager sull'altro lato della carreggiata fin sopra il prato secco.
Tra le due casette corre una passerella di legno che sembra della misura ideale per la nostra nuova tenda. Ci mettiamo un attimo a cambiarci per la cena e a goderci l'ultimo sole della giornata accucciati sul cemento ancora caldo della casetta vista mare, spazzolando tre-quattro scatolette di sgombri e legumi perchè non abbiamo nessuna voglia di accendere i fornelli. Quando il vento cala per lasciare posto all'aria fresca della sera, noi ripariamo in tenda, scegliamo qualche foto per il post e ci avvolgiamo nei sacchi a pelo: altre 12 ore di sonno non ce le toglie nessuno!

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